Paolo Lazzari

Febbraio 1530: le truppe di Carlo V d’Asburgo cingono d’assedio Firenze, nel tentativo di sovvertire la Repubblica. La città vive una delle sue fasi più drammatiche, ma non intende deporre le armi. Sono ormai diversi mesi che l’esercito è schierato sulle alture che circuiscono il centro e la cittadinanza è ormai allo stremo. Colpi di cannone fendono le certezze di burro delle difese. Improvvise sortite notturne innescano lo scompiglio. Eppure Firenze resiste, orgogliosa e irredimibile, di fronte alla tracotante minaccia straniera. I bastioni delle mura e i pensieri si creperanno anche, ma a rinfocolare la speranza ci si mette il genio di Michelangelo Buonarroti: per contenere i trentamila soldati cosparsi sui colli vicini, ha suggerito di creare un’ampia porzione di “terra bruciata”, demolendo case, ville, monasteri, giardini e campi coltivati. Il nemico è all’aperto, senza possibilità di riparo o approvvigionamento, ma l’idea che questo possa bastare rimane un’illusione pronta a dissolversi.

In centro le botteghe artigiane sono sprangate. Per le viuzze si aggirano uomini d’arme avvolti in sciarpe verdi, la milizia cittadina, ultima speranza di fronte ad una morsa che sta costringendo alla fame decine di migliaia di persone. La disfatta è nell’aria. Lo sprofondo è già un ghignante vicino di casa. Eppure, nel massimo momento di sconforto, ecco che esce fuori l’insopprimibile insolenza fiorentina. Perché se esiste un popolo orgoglioso allo sfinimento, identitario per genetica e libero per antonomasia, quello si trova proprio qua. Succede allora che, per schernire il nemico appollaiato tutto intorno, in città si decida di organizzare una partita di calcio in livrea. Dove? Naturalmente in piazza Santa Croce, il punto più visibile dagli odiati assedianti.

Il 17 febbraio 1530 la Signoria esce in pompa magna da Palazzo Vecchio, in testa il gonfaloniere messer Raffaele Girolami, al ritmo sferzante e frastornante di trombe e tamburi. Quel che sarebbe stato implausibile in qualsiasi altro posto del mondo accade a Firenze. Ci attaccano? Il nostro serbatoio di autostima tracima al punto che vi facciamo vedere quanto ce ne frega. Così eccole, le due squadre. Una indossa la livrea bianca, sintomo della libertà; l’altra quella verde, il colore delle milizie cittadine. Per sbeffeggiare ulteriormente il nemico, durante diverse fasi della partita, sferragliano le campane e squillano le trombe. Ad un certo momento – raccontano le cronache del tempo – stanco della mancanza di rispetto fiorentina, lo schieramento asburgico esplode un colpo di cannone in direzione della piazza dove, incuranti, sono assiepati migliaia di cittadini. La botta sorvola le teste e finisce al fianco della chiesa, miracolosamente senza centrare nessuno.

Non sappiamo, invece, come finì quell’incontro. Di certo qualche mese più tardi la storia della Repubblica fiorentina si sarebbe bruscamente interrotta e i Medici sarebbero tornati a prendere possesso del trono ducale. A partire da quella partita sintomo di libertà, quattro quartieri cittadini decisero di sfidarsi ogni anno in una battaglia senza esclusione di colpi per ottenere il maggior numero di “cacce”. Il gioco venne interrotto nel 1739 con l’arrivo dei Lorena e si dovette aspettare addirittura il 1930 affinché ricominciasse, inserito all’interno del programma di rilancio turistico promosso dal fascismo. Da allora, ogni anno, l’appassionante contesa si svolge di fronte ad un pubblico immenso, dopo la sfilata del corteo della Repubblica.

 

Foto in alto: Calcio storico (weirditaly.com). In basso: Wikipedia

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