Commenti e considerazioni su un mondo che ha perso la testa di un giornalista col cuore in Toscana e la testa tra Londra e il Texas. Se volete, chiamatemi Apolide / di Luca Bocci

Napoleone Bonaparte diceva “preferisco un generale fortunato ad uno bravo” – fino a quando la Dea Bendata non gli voltò le spalle. A giudicare dalle reazioni ad ogni sua uscita, Enrico Letta non solo non è fortunato, ma dovrebbe ingaggiare un esorcista. Da quando ha preso il timone dell’ex Bottegone, non sembra imbroccarne una. La scelta di non inserire il logo del partito che dirige nel simbolo con il quale si presenterà il 3-4 ottobre agli elettori di Siena ed Arezzo per prendere il posto dell’ex ministro Padoan, non è affatto passata inosservata. Dopo lo scoop di Repubblica l’ironia e gli sfottò non si sono risparmiati. Salvini ha infierito: Letta si vergogna del Pd. Frase buona per guadagnare qualche retweet ma lontana dalla realtà.

Lasciamo perdere la difesa d’ufficio del Pd senese: quando il segretario provinciale Andrea Valenti parla di “progetto nuovo”, di “aprirsi a tutti” sa benissimo che si tratta di aria fritta. Vedi sopra per i fedelissimi che parlano di “voglia di rappresentare un mondo largo” che avrà il segretario del PD come “collante”. Balle. Letta non è il collante, è la foglia di fico dietro la quale si prova a nascondere il profondo stato confusionale del partito-stato in Toscana. “Enrichetto” lo sa bene e, dopo aver orgogliosamente dichiarato “se perdo vado a casa”, ha già corretto il tiro. Alla Festa dell’Unità di Milano ha abbassato i toni: “Quello è un collegio che devo vincere e sono convinto che il risultato ci sarà”.

Letta non è né il primo né sarà l’ultimo candidato ad evitare di inserire i simboli dei partiti che lo sostengono, ma il fatto che il partito-stato che controlla tutto e tutti in Toscana dal dopoguerra non senta il bisogno di metterci la faccia è un segno dei tempi. Basta guardarsi intorno per capire come i tempi della disciplina di partito sono morti e sepolti. Il partito monolitico, capace di scrollarsi di dosso qualsiasi scandalo grazie all’aiuto dei media e dell’intellighenzia, è storia. Quel simbolo non lo mettono non perché si vergognano, ma perché non significa niente. Il Pd sembra la brutta copia della Dc, con gruppi di potere l’un contro l’altro armati e dirigenti impegnati a spegnere questa o quella crisi.

Guardate solo a quel che è successo negli ultimi giorni. Prima il membro della commissione pari opportunità della regione che definisce la vittoria dei Talebani una “tappa obbligata della storia”, poi il prossimo rettore universitario che definisce le foibe un “falso storico”. Roba del genere sarebbe stata impensabile ai tempi del Pci. I “compagni che sbagliano” venivano trattati con i guanti bianchi ma nella privacy delle segreterie, mai in pubblico. La morte delle ideologie ha svuotato di significato anche il simbolo del partito che in Toscana fa il bello e cattivo tempo da sempre. Perché mai legarlo ad un candidato assieme agli altri, anonimi simboli dei partitini chiamati a “far massa”? Non solo è inutile, ma addirittura dannoso, specialmente dove il “gran partito” ha dimostrato a tutti la sua incapacità di evitare disastri economici e sociali.

Tutto lo spin del mondo non riuscirà a far dimenticare che il Pd ha portato alla rovina la banca più antica del mondo, la pietra angolare del capitalismo di relazione. Senza ideologia, ormai si rincorre questa o quella tendenza, pensando che Twitter sia il mondo reale. I dirigenti ex comunisti hanno da sempre schifato i propri elettori, ma erano abbastanza preparati da avere il polso dell’elettorato. Una volta dissolta la pachidermica struttura sul territorio, i dirigenti si sono rinchiusi nella torre d’avorio, incapaci di nascondere quanto si sentano superiori. Fino a quando erano in grado di sistemarti il figlio, il popolino li ha tollerati – ora non sa più che farsene di loro.

Ad ogni livello, eletti e dirigenti fanno sempre più di testa propria. Una volta i politici trombati venivano sistemati in una fondazione, ora pretendono di tornare in campo, come successo a Carrara con l’ex sindaco Angelo Zubbani. Il culto della personalità, una volta riservato solo ai vertici massimi, è diventato la norma. Un tempo avrebbe fatto scandalo vedere un sindaco di sinistra candidarsi per una lista civica di opposizione, oggi nessuno sembra stupirsi. Il caos regna sovrano. Quindi? Siamo alla vigilia del tanto atteso cambiamento? Letta rischia davvero? Più facile che tutto resti come prima. Resta una domanda: se nemmeno questo spettacolo indecoroso riuscirà a spezzare il legame malsano tra i toscani e la struttura di potere che sta portando la regione alla rovina, quale speranza ci rimane? Ai posteri l’ardua sentenza.

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