Luca Bocci

“Firenze muore”, si legge ad intervalli regolari sulla stampa, grido tanto scontato quanto di sicura presa sul pubblico. Pochi giorni fa i peana si sono levati dopo la pubblicazione degli ultimi dati sulla popolazione della capitale toscana. I numeri fanno impressione: 359.755 abitanti, un secco meno 22.000 e rotti dai già poco incoraggianti dati del 2016. La quota 400.000 sognata dall’ex sindaco Matteo Renzi sembra lontanissima, visto il trend che, tranne poche eccezioni, continua imperterrito fin dal picco del 1971, quando il mezzo milione sembrava dietro l’angolo. Numeri che lasciano poco spazio a dubbi e speranze ma che nascondono una realtà per alcuni ancora meno digeribile: ben 55.000 degli abitanti nel comune di Firenze sono stranieri, il 15% della popolazione. Ancora più preoccupante il fatto che molti, moltissimi dei fiorentini DOC rimasti sono molto in là con gli anni. Alcuni quartieri del centro vedono percentuali di over 65 altissime, tanto da farli assomigliare ad ospizi a cielo aperto. Quello che fa davvero pensare è il saldo tra nascite e morti. Certo, c’è da tener conto dell’effetto pandemia ma 4.880 decessi per solo 2.375 nascite sono dati da implosione demografica prossima ventura. Le nascite si sono in parte spostate nei comuni dell’hinterland, unico posto dove le famiglie giovani possono trovare abitazioni abbastanza ampie a prezzi più umani, ma il trend rimane ben reale. La domanda vera, quella che qualcuno inizia a farsi, è però un’altra: perché mai andare a vivere a Firenze nel 2021?

Certo, ci sono le immense bellezze architettoniche, le montagne di capolavori sempre meno rinchiusi nei tanti musei cittadini, scorci paesaggistici da sindrome di Stendhal nonché il fascino di poter dire di vivere in una delle città più belle al mondo. Tutte cose del tutto indiscutibili ma assolutamente inutili quando ci si trova imbottigliati per ore nell’infernale traffico dei viali o si perdono mezze giornate andando a caccia di un mitologico parcheggio. Certo, il Ponte Vecchio al tramonto è spettacolare in certe giornate ma quanto può valere per chi si trova a combattere ogni santo giorno contro trasporti pubblici inefficienti, servizi pubblici spesso disastrosamente insufficienti e cantieri che sembrano non finire mai? I dati di un recente rapporto di Nomisma sul traffico fiorentino fanno riflettere. Nel 2019, ultimo anno con dati non viziati dalla pandemia, ogni fiorentino ha perso ben quattordici giornate lavorative bloccato nel traffico. Il difensore d’ufficio della fiorentinità fa subito notare come le cose vadano peggio a Roma o a Milano, i quali cittadini perdono rispettivamente venti e diciotto giornate a smadonnare su Lungotevere e circonvallazioni ma si tratta di città che hanno rispettivamente otto e quattro volte più abitanti della capitale toscana. Perdere mezz’ora in più ogni santo giorno bloccato nel traffico farebbe perdere la poesia anche al più trinariciuto “fiorentinista”. Per non parlare poi del mercato immobiliare impazzito, degli affitti drogati dai tanti, troppi che provano a capitalizzare sul boom di AirBnB e dei sempre più preoccupanti dati sulla qualità dell’aria che si respira in centro. Viene davvero da domandarsi perché i fiorentini non fuggano tutti verso la campagna.

Nel suo editoriale su La Nazione di pochi giorni fa, l’amico Gigi Paoli, cantore della capitale nei suoi romanzi gialli, afferma che oltre allo scenario da cartolina ad uso e consumo dei turisti mordi-e-fuggi, sul piatto del “favorevole” della bilancia della vita, a favore della città del Duomo resta solo una cosa: il nome, il “brand”, declinato da anni nella frase “Firenze è Firenze”. Quel brand che troppi si affannano a sfruttare per giustificare prezzi alti, servizio scadente, disservizi snervanti può funzionare per attirare i turisti. Cosa vuoi che sia qualche fila quando hai davanti la prospettiva di vedere alcuni dei capolavori più straordinari della storia dell’umanità? I disservizi possono anche far parte del fascino decadente della città, ma solo per chi sa bene che nel giro di pochi giorni tornerà nella sua molto meno affascinante ma molto più efficiente città. Firenze da decenni sembra decisa a trasformarsi in una sorta di Disneyland del Rinascimento, un museo a cielo aperto fatto e pensato ad uso e consumo solo dei turisti. Il problema è che nessuno vive davvero a Disneyland: tutti vengono, fanno un giro sulle giostre, comprano un souvenir e se ne tornano a casa. Normale per un parco divertimenti, molto meno per una città che è stata resa così straordinaria non dal vezzo di un burocrate ma dalla incredibile tenacia di generazioni e generazioni di imprenditori che hanno sfidato e vinto la concorrenza internazionale rendendo la città una delle più ricche al mondo. La Cupola del Brunelleschi, i capolavori dei tanti maestri del Rinascimento sono stati tutti finanziati dai profitti di quelle famiglie di mercanti, artigiani e banchieri che avevano trionfato sul mercato. Firenze è stata fatta dal genio e dal duro lavoro dei fiorentini. Ora che di fiorentini veri ce ne sono sempre meno e che, soprattutto, le imprese in grado di fare profitti preferiscono andare altrove, che futuro può avere questa incredibile città?

Prima o poi questa pandemia farà la fine delle tante altre che nel corso dei secoli hanno colpito le nostre terre, ma nessuno sa veramente che fine faranno le grandi città. I lunghi mesi passati con gli uffici vuoti e gli impiegati a lavorare da casa stanno convincendo molte aziende grandi e piccole che i parecchi soldi spesi per affittare uffici di prestigio in centro sono una spesa del tutto superflua. Qualche grande corporazione ha già pensato di rendere permanenti le norme inaugurate con l’arrivo della pandemia, lasciando liberi i propri dipendenti di lavorare da dove vogliono. Con sempre più paesi piccoli e grandi collegati dalla fibra ottica, perché mai qualcuno dovrebbe andare a vivere in una grande città dove tutto è più caro, più scomodo, più sporco e più pericoloso? Un tempo si andava in città perché le fabbriche, gli uffici, i posti di lavoro erano lì. La scomodità, il caos, l’inquinamento, i prezzi folli erano lo scotto da pagare per poter svolgere il proprio lavoro. Certo, le grandi città erano in grado di offrire altri benefit più immateriali. Le grandi mostre, i musei, i caffè letterari, i teatri, i concerti erano tutti concentrati lì. La cultura una volta respirava a pieni polmoni l’atmosfera elettrica delle grandi città, che attiravano come enormi magneti talenti da tutta la nazione. Avere così tante persone giovani e talentuose nello stesso posto dava origine a movimenti artistici, letterari, di costume. La Swinging London degli anni 60 è stata fatta non dai londinesi ma da coloro che si trasferivano nella capitale da ogni angolo del Regno Unito – la Milano degli anni 80 seguì un percorso molto simile. Ora che tutti viviamo rinchiusi nei nostri home offices, passando gran parte delle nostre giornate a lavorare online, ha ancora senso pagare migliaia e migliaia di euro in più per il “privilegio” di vivere in una grande città? Se poi queste città, come succede da anni a Firenze, perdono giorno dopo giorno la loro unicità, con le loro tradizioni secolari che vengono costantemente corrotte per adattarle ai gusti dei turisti, con i negozi storici che lasciano il posto ad anonimi franchising, la fuga dalla città sembra sempre più inevitabile.

Non so davvero se Firenze riuscirà a cambiare rotta o se continuerà nella sua decrescita infelice demografica, culturale ed economica. Tutto sembra puntare verso la seconda opzione ma non sarebbe la prima volta che una grande città riesce a reinventarsi. La Londra degli anni 70 era una vera e propria città fantasma, sporca, inefficiente, con interi quartieri in rovina, dove le case si potevano comprare per poche migliaia di sterline. Pochi decenni dopo e quartieri una volta dilapidati e pericolosissimi come Shoreditch o Clapham Junction sono irriconoscibili, pieni di vita, di negozi e locali all’avanguardia. Molti dei quartieri più atroci della Berlino al di là del Muro si sono trasformati in pochi lustri, diventando alcuni tra i più desiderati nella capitale tedesca. Possibile che questo sia il futuro di Firenze? Niente è impossibile, ma fino a quando le giovani coppie saranno costrette a trasferirsi sempre più lontano dal centro storico, la rinascita è una vera e propria utopia. Può sembrare semplicistico ma senza l’energia dei giovani, la loro inventiva, il loro coraggio, per Firenze e per le altre città toscane l’unico futuro possibile è quello di un inesorabile declino.

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