Guido Martinelli

Nell’attuale, drammatica situazione pandemica contingente, così ricca di insidie e limitazioni su scala mondiale, verrebbe proprio voglia di evadere e cercare conforto altrove nell’universo. Se almeno l’essere umano, dopo l’illusoria parentesi lunare di tanti anni fa, fosse attrezzato a trasmigrare facilmente in altro pianeta del nostro sistema solare o addirittura altrove. È possibile, però, allontanarsi dal contingente come sempre con la mente, e quindi mi lascio trasportare dall’idea di andare a cercare qualcuno, conoscitore dell’universo, con cui vagare a parole, almeno per qualche minuto, nella vastità dell’empireo. La pietosa Dea Fortuna mi assiste, e mi aiuta a entrare in contatto addirittura con un astrofisico. E che astrofisico. Parlo di Federico Ferrini, elbano residente a Pisa da decenni, che può attestare le sue conoscenze astronomiche con un curriculum che, nella Capitale, definirebbero “da paura”.

Nato a Portoferraio nella seconda metà del secolo scorso, si è laureato in Fisica nel 1972 presso l’Università di Pisa e la Scuola Normale Superiore, dove ha svolto attività di ricerca. Dal 1976 è professore all’Università di Pisa. Ha pubblicato oltre 250 articoli scientifici e dal 2002 al 2010 ha ricoperto il ruolo di addetto scientifico presso la rappresentanza italiana alle Nazioni Unite a Ginevra, con il compito di rappresentare l’Italia al CERN e in altre organizzazioni internazionali. Dal 2011 al 2017 è stato direttore dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo, EGO, a Cascina (Pisa), dove si trova il noto interferometro VIRGO, dedicato alla ricerca delle onde gravitazionali. Nel corso della sua direzione è stato costruito il nuovo rivelatore di onde gravitazionali, Advanced Virgo. Come forse qualcuno ricorderà, nel febbraio 2016 le direzioni LIGO ed EGO annunciarono contemporaneamente, a Washington e Cascina, la scoperta delle onde gravitazionali. Dal marzo 2018 il professor Ferrini è direttore del Cherenkov Telescope Array Observatory (CTAO). È stato anche nominato commendatore della Repubblica nel 2018 ed ha, infine, vinto una serie di prestigiosi premi internazionali, alcuni condivisi con i colleghi, in cui manca solo l’Oscar come attore protagonista e il titolo di capocannoniere della Serie A. Mi permetto questa battuta sdrammatizzante perché il professore è un tipico toscano, semplice e molto alla mano che, da quel che ho scoperto sin dai primi convenevoli, non fa pesare all’interlocutore le proprie qualità e il personale cursus honorum.

NASA/JPL-Caltech

Inizio la nostra chiacchierata telefonica partendo dalla domanda più facile e più banale. Professore, di cosa si occupa, precisamente, un astrofisico teorico?
Un astrofisico teorico, nel suo lavoro, cerca di capire come le leggi fisiche che noi sperimentiamo nella terra, nei nostri laboratori e nella nostra vita quotidiana, si possono applicare fuori dalla terra, nelle galassie e nei pianeti extraterrestri. Ovviamente per spiegare quello che osserviamo dalla terra ci serviamo di telescopi inventati per comprendere come funziona l’universo, dalla sua nascita con il Big Bang al giorno d’oggi. Queste osservazioni possono portarci delle sorprese, e questo studio dell’universo può arrivare a modificare le leggi della fisica che noi sperimentiamo su distanze piccole.

Nella sua lunga e importante carriera di quali argomenti si è occupato in particolare?
Essendo un astrofisico teorico focalizzato sui problemi di sistemi complessi e di processi che coinvolgono tanti corpi, mi sono occupato di tanti settori come la formazione dei sistemi planetari, della formazione delle stelle, quindi delle regole con cui si formano e distribuiscono le loro proprietà dalla nascita, dell’evoluzione delle galassie, cioè come i grandi sistemi di stelle si evolvono, e poi anche di cosmologia. Studiando un po’ sia le fasi evolutive da sistemi planetari come il nostro, sia l’evoluzione dell’universo in genere.

Dopo aver letto il suo impressionante percorso di studioso mi piacerebbe che lei mi parlasse di Virgo, ovvero di una realtà tipicamente pisana, o meglio cascinese, per la precisione di Santo Stefano a Macerata…
Il concetto di Virgo è partito dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso grazie al fisico Adalberto Giazzotto, del Dipartimento di fisica di Pisa, che ha avuto la brillantissima intuizione di cercare di sviluppare delle tecnologie che permettessero di migliorare le possibilità di rivelare le onde gravitazionali. Queste onde erano state predette nel 1916 da Albert Einstein, ma non erano mai state osservate. Gli studi sono cominciati negli anni Cinquanta in America e poi si sono allargati in tutto il mondo. Anche Edoardo Amaldi aveva cominciato a costruire delle strumentazioni che dovevano risuonare quando passava l’onda gravitazionale, ma la sensibilità non era sufficiente. Gli americani avevano sviluppato un concetto di interferometro, cioè un modo di mandare la luce lungo due raggi in direzione perpendicolare su due specchi messi in fondo a tunnel molto lunghi tenuti in condizione di vuoto estremo, e poi, grazie allo spostamento degli specchi, vedere le conseguenze sulla luce che veniva raccolta nella zona d’interferenza dei due bracci. Più lunghi sono i bracci, più sensibile è lo strumento. Però c’erano dei problemi, così Giazzotto ha pensato di sospendere gli specchi in una maniera molto accurata per ridurre le vibrazioni del terreno. Successivamente si è attivato per cercare di convincere gli enti preposti, in Francia e in Italia, a finanziare la costruzione di questo esperimento che si chiama VIRGO, in un grosso laboratorio che si chiama EGO, osservatorio gravitazionale europeo che ospita VIRGO dai primi anni Duemila. La prima versione di VIRGO ha cominciato a funzionare nel 2004. Purtroppo c’è stata una messa a punto molto lunga perché era il primo prototipo ed era l’unico esemplare nel nostro continente. In America ce n’erano due analoghi e simili a VIRGO, ovvero i LIGO, ad Hanford e a Livingston. Anche questi dovevano essere messi a punto, dato che si tratta di macchine con una sensibilità mostruosa poiché riescono a vedere variazioni di distanza dell’ordine di un millesimo del raggio del protone. Attualmente VIRGO è un interferometro cosiddetto di Michelson, con bracci lunghi tre chilometri che sono il frutto di un lavoro lungo una decina di anni, partito dal 2011, all’inizio della mia dirigenza, dopo che si è scoperto che la loro sensibilità non era sufficiente ed è stato effettuato un miglioramento sensibile dei prototipi, sia qui che in terra americana. In questo modo siamo riusciti ad arrivare a prendere il primo segnale di onde gravitazionali nel settembre del 2015. Questo segnale è stato preso da LIGO, che collaborava con noi dal 2014 a seguito di un accordo che sottoscrissi, per cui tutte le ricerche dagli interferometri erano proprietà collettiva della comunità. Gli scienziati sulle due sponde dell’Atlantico hanno sempre collaborato attivamente tra di loro con scambio d’informazioni e tecnici. In genere, con gli americani, anche in campo scientifico c’è sempre stata un’accesa competizione, ma stavolta abbiamo registrato una collaborazione globale, collettiva, alla quale si sono aggiunti recentemente anche i giapponesi, che ha dato dei risultati strepitosi. Quindi la scoperta delle onde gravitazionali è stata l’impresa di un vasto gruppo allargato che ha permesso di rivelare le onde gravitazionali per la prima volta nel 2015, poi nel 2016, e un’altra volta, clamorosa, nel 2017.

Virgo, vista aerea

Che ho letto ha valso il Premio Nobel della fisica del 2017. Ora, professore, ci parli del suo attuale, nuovo incarico, ovvero del Cherenkov Telescope Array Observatory.
Partiamo sempre da VIRGO. Nel 2017, come accennavo, VIRGO e LIGO hanno preso un segnale molto particolare. I primi segnali venivano emessi dal collasso di due buchi neri, due oggetti estremamente massici che mandavano un unico segnale, ovvero l’onda gravitazionale, che unendosi formano un oggetto più grande. Praticamente trasformano parte della loro materia in energia, secondo la nota legge sulla relatività di Einstein: E=mc². Questa energia viene emessa attraverso le onde gravitazionali che attraversano tutto lo spazio senza essere frenate e assorbite da niente e arrivano fino a noi. Nel 2017, invece, abbiamo visto un segnale della unione del collasso di due stelle di neutroni, oggetti molto più piccolini, ma dalla cui unione è uscita moltissima luce. Quindi, meno di due secondi dal segnale delle onde gravitazionali, un satellite che cerca di vedere l’universo nei raggi gamma, la luce più energetica presente nello spettro elettromagnetico, ha visto un segnale. Si è trattato di una coincidenza straordinaria tra onde gravitazionali e un segnale di luce. Dopo questi raggi gamma sono arrivate le onde radio, la luce nella zona visibile che era comunque debole e attraverso grandi telescopi specializzati per i vari tipi di luce si sono viste tutte le radiazioni emanate da questa catastrofe astronomica. Nel frattempo c’era una comunità che studiava questi raggi gamma, che per fortuna nostra non attraversano l’atmosfera, perché sono più energetici dei raggi x e provocherebbero danni se proseguissero il loro cammino. Grazie all’unione di tutte queste intelligenze si è deciso di sviluppare un sistema di telescopi che potesse osservare sistematicamente i segnali gamma dell’Universo ed è nato il progetto, Cherenkov Telescope Array Observatory (CTAO). Trattasi del più grande sistema di telescopi mai costruito, circa 120, per catturare i segnali prodotti dai raggi gamma; insomma, il più grande osservatorio terrestre dedicato solo a quei raggi. La sua realizzazione coinvolge 1500 persone in 31 paesi in cui l’Italia è in prima fila, con l’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e con l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN).

Professore, questi raggi gamma per cui profondete tanti sforzi, a cosa servono?
Servono alla pura conoscenza, a cercare di vedere e conoscere l’universo in tutte le sue parti più oscure. Non hanno altre funzioni. È una ricerca di fisica sperimentale che, attraverso strumenti molto sensibili, cerca di accogliere tutto quello che arriva dall’universo e permette di trovare qualcosa di più lontano, debole, e quindi più antico nel tempo. In questo modo ci si può avvicinare a vedere cosa è avvenuto nel Big Bang, durante la prima esplosione creatrice dell’universo. La luce si può vedere emessa solo 300.000 anni dopo il Big Bang e con i telescopi si vede fino all’anno 300.000 dopo l’inizio della storia dell’universo. Con i neutrini, che sono particelle leggerissime, si arriva a vedere addirittura a un secondo dopo la nascita dell’universo. Con le radiazioni delle onde gravitazionali, invece, si può vedere persino ad una frazione infinitesimale di secondo dopo la nascita dell’universo. Se avessimo dei rivelatori di onde gravitazionali molto, molto più sensibili dei nostri, potremmo vedere come è nato l’universo, come è avvenuto il Big Bang. Obiettivamente ciò, da un punto di vista conoscitivo, teorico e quasi teologico, è un’aspirazione straordinaria. Tutto questo, ora, nella vita quotidiana non serve a niente, ma gli strumenti che la fisica ha inventato nel corso dei secoli per le sue ricerche, ad esempio in tempi recenti, dal telescopio al laser, alle fibre ottiche, è stato successivamente usato in medicina. Non ci sarebbero nemmeno i vaccini per il Covid se non avessimo dei macchinari come i frigoriferi che sono frutto degli studi di termodinamica iniziati nel 1800 senza alcun intento iniziale di applicazione pratica. Non so, quindi, allo stato attuale dell’arte, definire a cosa ci porterà questo lavoro che stiamo portando avanti con i raggi gamma, ma sicuramente col tempo si troverà il modo di sviluppare qualche altra scoperta che porterà giovamento al genere umano.

Tornando all’universo, professor Ferrini, lei come lo definirebbe?
L’universo, nella mia mente modesta, è come una grande bolla in espansione contro il nulla. Una bolla popolata da tanti oggetti legati tra di loro. Non c’è niente al di là e lo spazio e il tempo vengono definiti da questo meccanismo di espansione. L’universo si porta con sé il tempo e lo spazio.

In pratica avete dimostrato che la famosa teoria di Einstein era esatta…
Precisamente. Einstein aveva ragione, e con la scoperta delle onde gravitazionali, come dicevo prima, lo abbiamo confermato, nonostante negli anni la sua teoria avesse avuto numerosi detrattori. Applicando i suoi principi siamo riusciti a dimostrare la validità delle sue intuizioni.

In questa bolla in via di espansione possono esserci altre forme di vita oltre la nostra? D’altronde, sempre lo stesso grande fisico affermava, se la nostra fosse l’unica presenza vitale nella bolla universale cui lei fa riferimento ci sarebbe un grande spreco di spazio.
Certamente, ormai i telescopi ci mostrano migliaia di pianeti intorno a stelle nella nostra galassia, e considerando che la nostra è una delle milioni e milioni di galassie del nostro universo sicuramente esiste la vita in forme che noi non conosciamo, più evolute, non ancora evolute o in via di evoluzione da qualche parte.

Esistono, però, delle persone che affermano di aver incontrato delle razze extraterrestri sulla terra, lei cosa ne pensa?
Non so cosa pensare se, da scienziato, non ho la riprova certa di questi incontri, e se questa ci fosse ne sarei felice e contento. Non capisco, però, perché queste razze, che dicono essere anche più evolute di noi, non cerchino di entrare in contatto con quelli che stanno a guardare il cielo, invece di cercare di incontrare quelli che guardano la terra. Perché queste super menti non parlano con chi può capirle invece di andare a conferire con le persone sprovviste di determinate conoscenze? Sembra la storia medioevale del crociato di ritorno dopo anni a casa, che trovava la moglie con due bambini subito pronta a giustificarsi affermando di essere stata visitata dal diavolo. Che magari aveva le fattezze del fornaio vicino di casa e non di un essere con le corna. Occorrono prove scientifiche, dimostrabili, di queste visite. Le ripeto che sarei il primo ad essere contento di poter parlare con un extraterrestre: sarebbe meraviglioso. Ci sono dei colleghi linguisti, in Inghilterra, che si occupano di studiare le esolingue, cioè lingue di popolazioni extraterrestri, e trattasi di professori universitari di altissimo livello, a dimostrazione che la comunità scientifica è disponibile all’incontro con razze di altri mondi, non lo rifiuta per principio, ma questo deve avvenire realmente, vis a vis, tra noi scienziati e loro.

Ho letto che alcuni contattisti parlano di alieni immortali, lo ritiene possibile?
Non esiste il concetto di immortalità nell’universo. Tutto nasce e tutto finisce, non soltanto nella terra. Anche l’universo, un giorno, tra miliardi di anni, finirà. Niente resiste per sempre.

Si è letto, alcuni giorni fa, di un progetto di costruzione di una città su Marte in grado di ospitare circa un milione di persone. Lei la ritiene un’ipotesi possibile, o si tratta soltanto di letteratura fantascientifica?
Giustamente bisogna essere ambiziosi e avere grandi mire. Intanto la ricerca della vita su Marte, che da diverso tempo si sta portando avanti, è una splendida materia per giustificare queste missioni su Marte, ma ritengo che non ci sia alcuna possibilità di trovarla, perché l’atmosfera di quel pianeta è così labile per cui è impossibile ricreare le condizioni di vita come s’intende noi se non andando in profondità nel sottosuolo. Forse in altri pianeti, ma lì non credo proprio.

Ma perché non siamo andati più sulla luna?
Forse perché, ormai, è poco alla moda.

Praticamente serviva per la guerra fredda Usa-Urss?
Un pochino sì, anche se andare lì e dare uno sguardo al “The dark side of the moon”, come dicono i Pink Floyd, non sarebbe male. Io, per dirla tra noi a mo’ di battuta, un’occhiatina gliela darei, anche per farci le ossa per andare più lontano. Sarebbe un bell’allenamento.

Cambiando un attimo prospettiva che rapporto vede tra Scienza e Religione?
Ogni persona segue i propri percorsi evolutivo-cognitivi-ideologici che lo guidano nel proprio cammino. Sin da giovane mi hanno interessato certe tematiche di ampio respiro, e ai tempi del liceo trovai illuminante, al riguardo, le tesi di Immanuel Kant che, nella “Critica della ragion pura”, sosteneva la chiara separazione tra le finalità della scienza e quelle della religione. La prima studia la natura e le sue leggi cercando di comprenderla e di operare su di lei ripetendo i fenomeni visibili, mentre l’altra indaga il mondo della spiritualità, della moralità, tutto ciò che riguarda la mente e l’anima nelle sue dimensioni non fisiche. Entrambe possono convivere magnificamente. Non vedo niente di straordinario se, studiando la cosmologia, cerco di vedere cosa è successo nel Big Bang fermandomi a quello che vedo nell’istante iniziale in cui è partito tutto, senza trarne ulteriori considerazioni. Se, poi, tutto è frutto di una scintilla divina è un’altra questione. Non le confondo, le tengo distinte.

Secondo lei la scienza potrà aiutare il nostro pianeta a superare le tematiche a carattere ambientale che sembrano così gravi?
La scienza può risolvere tanti problemi, e questo come tanti altri. Ai tempi del Cern, nella prima decade degli anni duemila, ho potuto partecipare a numerosi studi sulle questioni del cambiamento climatico globale. Ero presente alla Conferenza Globale sul clima che si è svolta a Ginevra nel 2009. È chiaro che è difficile comprendere fino a che punto l’effetto dell’uomo ha modificato il clima e quanti, invece, sono i cambiamenti climatici dovuti alle fasi solari, ai movimenti della terra e dell’atmosfera terrestre.

Comunque l’anidride carbonica, prodotta dall’uomo con gli scarichi delle auto e altro, per esempio, è molto dannosa per l’ecosistema del nostro pianeta.
Ovviamente. C’è un gruppo di chimici italiano che si occupa di chimica verde che è una cosa vitale per eliminare i prodotti chimici che avvelenano l’ambiente. Un’opera che ritengo meritoria, ma purtroppo loro non hanno sufficiente impatto sulle strategie politiche globali, perché tutto questo ha un costo. Sappiamo tutti come esistano interessi socio-politico-economici che condizionano certe scelte. Se vogliamo star bene dobbiamo pagare un prezzo: non ci sono mezze misure. Io sarei pronto a pagare per favorire la vita delle prossime generazioni, perché la scienza vuole il bene dell’uomo, non il male; se qualcuno usa male i dati e i procedimenti scientifici per interessi economici o personali non è colpa dagli scienziati.

Non ritiene, quindi, che per il futuro sarebbe importante trovare delle energie alternative che non danneggino l’uomo?
Assolutamente. Con l’energia solare, delle maree, l’automazione. Come affermano gli amici della chimica verde le macchine diesel, per esempio, andavano abolite cinquanta anni fa. In località come India e Cina circolano tuttora milioni di auto che provocano grossi danni ambientali.

E il fenomeno dell’esaurimento di risorse naturali come l’acqua come potremmo affrontarlo?
Bisognerebbe regolarizzare le nascite, forse, e prestare molta attenzione a non sprecare queste risorse. Un simile argomento delicato andrebbe esaminato e sviscerato con cura.

Lei condivide l’uso dei vaccini per contrastare l’attuale pandemia, vero?
Certamente, mi son vaccinato da pochi giorni e godo di ottima salute. Non vedo altro modo per uscire in tempi brevi da questa incresciosa situazione pandemica, anche se non sono un epidemiologo. Senza la scienza, mi creda, non si va lontano.

Grazie professore, e viva la Scienza allora, no?
Certo. Sempre. Grazie a lei.

Concordo con lui e lo saluto, cosciente come questa breve chiacchierata lasci sul metaforico tavolo tanti temi interessanti e degni di essere approfonditi, e non potrebbeessere altrimenti dopo aver scambiato alcune impressioni su argomenti così sensibili e vitali con una simile personalità così qualificata e disponibile. Ho il sospetto che tornerò a disturbarlo. Ma che resti tra noi.

Guido Martinelli

 

 

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