Fabrizio Boschi

Come un Rolex, Amedeo Modigliani è l’artista più falsificato della storia dell’arte. Ma non è questo il caso. Anzi. Livorno ricorda e celebra il suo autenticissimo Modì. Una mostra che si attendeva da un secolo. Il rapporto tra Modigliani e la sua città è stato sempre burrascoso: l’artista, oggi quotato e apprezzato in tutto il mondo, in vita non fu mai veramente compreso dai livornesi che anzi lo prendevano in giro per i lunghi colli femminili dei dipinti e per lo stile delle sue sculture. Tonalità forti contraddistinguono, come sappiamo, i volti di Modigliani, soprattutto i notissimi ritratti femminili, ma anche quelli maschili, sempre stilizzati, oppure i nudi integrali, mollemente sdraiati, che scandalizzarono gli ambienti conformisti di allora.

Era leggendaria la rapidità con la quale Modigliani dipingeva i suoi ritratti senza poi ritornavi sopra. Una modalità che determinava un risultato pittorico solo apparentemente elementare. Volti che sembrano piatti e levigati, senza spessore, inespressivi come maschere, e persino stravaganti e anatomicamente errati, con occhi fortemente a mandorla, il naso storto, le bocche increspate.

Tuttavia l’accensione dei colori sui corpi e sugli sfondi determina sempre un salto, un capovolgimento di significati. I soggetti che hanno posato per lui raccontavano di aver percepito la sensazione di essere stati “spogliati nell’anima”, colti nella loro essenza più nascosta, svelati innanzi tutto a sé stessi. È stato davvero un pittore dell’anima. Illuminata anche dalle tante luci della Ville Lumière, che hanno influenzato l’ispirazione degli artisti che l’hanno amata.

Grande rivale di Modì, così era conosciuto Amedeo a Parigi, era Pablo Picasso, che il pittore di Livorno ammirava e odiava. Picasso era però affascinato dal giovane artista italiano, e dalle sue opere in cui si rispecchiava tutta la bellezza dell’arte rinascimentale espressa con un linguaggio assolutamente moderno.

Ecco perché questa mostra, allestita per i 100 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 24 gennaio 1920 a soli 35 anni,  proprio all’apice del successo, è stata la più attesa dell’anno, non solo in Italia. Già nel titolo, “Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori delle collezioni Netter e Alexandre”, indica l’ampiezza del progetto che l’ha ispirata. Anche il luogo dove è stata concepita è suggestivo: i Bottini dell’olio, nel quartiere “Venezia”, costruito sui canali di accesso al mare, dove ha sede il Museo della città. Un luogo simbolico, questo ex deposito di olio, proprio per essere sull’acqua, come la casa in Laguna a Venezia dove il pittore risiedette per qualche tempo, mentre studiava all’Istituto per le belle arti, prima di emigrare in Francia.

Un lavoro ben condotto che rende al pubblico la serietà con il quale è stato svolto dal curatore Marc Restellini, uno dei suoi principali studiosi. L’Istituto Restellini, infatti, gestisce la prestigiosissima collezione di opere Jonas Netter Collection, costituita dal primo collezionista e sostenitore del pittore, appunto Jonas Netter. Pochi artisti come Modigliani hanno registrato una mole così estesa di contraffazioni, e ne è stata protagonista, 36 anni fa, la stessa Livorno, con la “la beffa delle false teste di Modì”. Le infinite falsificazioni avvenute sin dall’indomani della morte di Modigliani, hanno dato in consegna a un pubblico meno esperto una visione deformata della sua reale produzione artistica: questo è uno dei motivi per cui il nome di Modigliani è molto spesso associato ai falsi.

Diverse mostre, nel tempo, sono state accompagnate da scandali circa l’autenticità delle opere (l’ultima nel 2017 a Genova), creando confusione tra vero e falso, e lo stesso museo del Louvre ha avviato uno studio scientifico “Le secrets de Modigliani” sulla questione dell’autenticazione delle sue opere.

A Livorno si possono ammirare 14 dipinti e 12 i disegni provenienti dalle raccolte dei due collezionisti francesi che sostennero il maestro in quegli anni. Ma per i visitatori la mostra è anche l’occasione per apprezzare la rete di rapporti, nonché le influenze subite dall’artista toscano.

Agli inizi del ‘900 attorno a Modì c’erano pittori di vario tipo e, in alcuni casi, con ispirazioni comuni. La cosa che più li accomunava era Parigi, la città dove vivevano e lavoravano molti di loro, i locali e i quartieri frequentati, a Montmartre a Montparnasse.

Livorno ha deciso di omaggiare il suo Modì anche per farsi perdonare tanti anni di silenzio durante i quali la pittura di sua arte è stata celebrata ovunque ma non nella città natale dell’artista. La mostra, tra l’altro, sottolinea il legame che lo unisce alla città, mai smarrito nel tempo. Lo confermano prima di tutto i disegni, il primo campo in cui l’artista si cimentò da giovanissimo nella città labronica, andando a lavorare da Guglielmo Micheli, principale allievo di Giovanni Fattori, e rimanendo per questo influenzato dai macchiaioli. Poi i viaggi in varie parti d’Italia e infine l’approdo in Francia.

Un centinaio le altre opere esposte, dipinti di artisti squattrinati come lui, che mossero i loro passi nella stessa stagione e che Modigliani frequentava, come Maurice Utrillo, André Derain, Chaïm Soutine, la stessa compagna Jeanne Hébuterne, e di tanti altri ancora, Suzanne Valadon, Moïsee Kisling, Maurice de Vlaminck. Modì era ammirato da tutti per la sua cultura, il suo fascino e il suo carisma.

La sua vita, però, fu prigioniera dell’alcol e delle droghe, Modigliani non si risparmiava e sfidava ogni giorno la morte cercando nell’arte una via di fuga al suo tragico destino. Nonostante una vita molto “sopra le righe”, le tanti amanti, tra le quali le poetesse Anna Akhmatova e Beatrice Hastings, la sua energia e giovinezza, Modigliani non sfuggì ad una morte prematura. La tragedia sconvolse Parigi e in particolare la sua giovane compagna, Jeanne Hébuterne, anche lei artista. La giovane donna, che aspettava un figlio da Amedeo, portata nella casa paterna dai propri familiari l’indomani si lanciò dalla finestra dell’appartamento che si trovava al quinto piano, morendo sul colpo insieme al bambino che aveva in grembo. I familiari di Jeanne, che disapprovavano la sua relazione con Modigliani, la seppellirono  nel cimitero parigino di Bagneux, ma nel 1930 ne permisero il trasferimento al Père Lachaise, dove fu posta nella stessa tomba dell’amato. Il suo epitaffio recita: “Compagna devota fino all’estremo sacrifizio”.

Questo estremo gesto d’amore contribuì a trasformare Modigliani in un personaggio per certi versi leggendario, l’emanazione “scandalosa” di un mondo bohémien che nei suoi dipinti riconoscerà la propria vitalità mista a profonda malinconia. Il significato estremo della parola “amore”.

Fabrizio Boschi

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