Matteo Leoni

Permettetemi questo gioco di parole nel titolo. Si sente spesso parlare (o sparlare) di treni da non perdere, quelli su cui salire al volo e lasciarsi trasportare. Quelli che passano una volta sola e che, se non sfruttati, lasciano un rimorso destinato a perpetuarsi per lungo tempo. Ecco, volendo utilizzare questa metafora per il progetto del nuovo stadio del Pisa, qui non siamo di fronte ad un treno regionale, nemmeno un intercity, questo è un “Frecciarossa”, che può proiettare la Pisa sportiva ad alta velocità verso nuovi orizzonti. Parliamoci altrettanto chiaro; la vecchia Arena Garibaldi è uno stadio vecchio, inutile per una società di calcio moderna che voglia fatturare da un impianto sportivo, inutile per il tifoso “occasionale” che vorrebbe godersi una partita al riparo dalle intemperie, inutile per un il caloroso zoccolo duro di un tifo come quello pisano che vede sempre più minacciata la capienza della propria casa.

Iotti-Paravani, gli architetti del progetto vincitore del concorso indetto dalla società, che ieri si sono presentati in città, hanno messo sulla carta un’idea, renders e concetti solidi per dare un futuro alla nostra casa. Sul piatto l’investimento (tra i 30 ed i 40 milioni) ce lo metterebbe la proprietà, che spinge per un iter burocratico breve e trasparente. “O si fa lo stadio o si chiude”, ha tuonato domenica il presidente Corrado fuori dai cancelli dello stadio. Come dargli torto. Ma anche, aggiungo io, come possano esserci dubbi da parte della cittadinanza e di una parte della politica su un investimento ben pianificato che ridarebbe vita ad un quartiere senza gravare alle casse pubbliche, davvero è difficile da capire.

Diciassettemila posti coperti (forse pochi a mio parere), struttura vicino al campo, una nuova piazza pubblica,
negozi per il quartiere, si spera il museo della società e soprattutto posti di lavoro, scusate se è poco. L’abbattimento e rifacimento di tre quarti delle attuale tribune consentirebbe inoltre la liberazione di un’ampia metratura da destinare ad altro uso. Chiedere di più è difficile dal momento che un’eventuale nuova Arena rientrerebbe tra i tre ed i quattro stadi più moderni del paese (dopo Juventus Stadium e Dacia Arena, davanti al Benito Stirpe di Frosinone, che è più piccolo), e sarebbe anche un esempio di riqualificazione urbana non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa, dove gli stadi nel centro cittadino sono una norma e le strutture sono vissute 365 giorni l’anno dalla cittadinanza. Tutto questo senza il consumo di territorio che si verrebbe ad avere nel caso dell’eventuale costruzione di una nuova struttura ad Ospedaletto, che rischierebbe di diventare una vera cattedrale nel deserto. Rimane il mio personale dubbio che chi si lamenta del progetto attuale siano gli stessi che si lamenterebbero comunque se lo stesso progetto fosse rivolto proprio ad Ospedaletto, magari (chissà) gridando ad una speculazione o proprio al consumo di terreni utili… ma questo è un altro discorso.

Gli elementi da studiare più nel dettaglio, in primis rimangono il carico di traffico che graverebbe sul quartiere di Porta a Lucca nei giorni di partita, che rischierebbe di ripercuotersi anche con la nuova struttura se non sarà elaborato un piano per il trasporto pubblico da e per lo stadio. In secundis rendere possibile uno spostamento delle cancellate che ogni domenica ingabbiano i residenti delle zone limitrofe all’Arena; costruire un impianto di livello europeo passa anche dal risolvere queste esigenze del resto. Ma i benefici che ne deriverebbero per la città sono in ogni caso maggiori rispetto alle problematiche comunque risolvibili che potrebbero insorgere in fase di realizzazione.

Ed è proprio la location della struttura, incastonata tra palazzi a due passi dalla Piazza patrimonio dell’Unesco a muovere critiche sulla realizzabilità del progetto. Comprensibile, anche se non condivisibile, visto che il panorama dell’Arena attuale di cui i turisti possono godere dalla Torre non credo sia dei più idilliaci. In Inghilterra, la patria del football che vorremmo prendere a modello in fatto di impiantistica, questi problemi di stadi nel centro cittadino ce li hanno eccome, solo che vengono risolti con organizzazione e buona volontà da parte di tutti, che saranno merce rara in Italia, ma di cui nel 2017 dobbiamo iniziare a dotarci. Tra le decine di esempi che potremmo fare il più eclatante è forse quello di Nottingham, dove le due squadre cittadine, il Nottingham Forest ed il Notts County, giocano in due stadi praticamente affiancati (foto sotto), nel bel mezzo di un quartiere residenziale, i quali sono rimasti in loco anche dopo numerose ristrutturazioni.

Oppure l’Arsenal, che ha sostituito il leggendario Highbury, con il mastodontico Emirates Stadium, continuando a giocare nel bel mezzo del quartiere di Islington, tra palazzoni residenziali e townhouses a due piani. Risultato? Trasporti pubblici che funzionano, traffico regolare e residenti che hanno giovato dal mutamento, dal momento che i prezzi delle case nella zona sono addirittura aumentati a seguito di una riqualificazione dell’area su vasta scala. Ma possiamo anche spostarci in Spagna, a Siviglia per esempio, dove la ristrutturazione dell’impianto del Betis (foto sotto) è stata svolta senza problema alcuno in prossimità del centro, su una struttura da 50mila posti che fa impallidire la minuscola Arena.

Stadio Benito Villamarin di Siviglia durante i lavori del 2016-2017

Insomma, il mantra per i prossimi mesi deve essere “se vogliamo possiamo”, il compito che spetta ad istituzioni e dirigenti è quello di cercare di ottenere i permessi del caso prima delle elezioni di primavera, rendendo quanto più possibile irreversibile l’iter burocratico una volta avviato, anche per le future amministrazioni, di qualsiasi colore siano. E’ un dovere per noi tifosi e per la città tutta credere in un sogno che ci meritiamo. Con coraggio, avanti.

Matteo Leoni

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