Giorgio Gentilini

Il Fiume Arno, nei secoli trascorsi, aveva numerose anse fluviali, i meandri naturali di cui si era dotato il fiume fin dai millenni trascorsi, in funzione delle caratteristiche dei territori attraversati, che nelle ricorrenti piene del fiume, gli consentivano un deflusso moderato. Questo lento deflusso delle torbide del fiume, provocava sovente l’inondazione dei territori adiacenti, sommersi dalle acque limacciose dell’Arno, per diversi chilometri di ampiezza, rovinando i raccolti e facendo altri numerosi danni.

Quindi, le anse dell’Arno, rallentando la corrente del fiume nelle piene, provocavano lungo il suo corso, periodiche inondazioni di vaste aree di territorio, producendo anche la rottura dei deboli argini appena realizzati. Laminando l’onda di piena, ovvero allagando estesamente il territorio, evitavano però di corrodere in modo notevole l’alveo del fiume ed anche le sue rive. Il percorso delle imbarcazioni che navigando il fiume trasportavano merci e derrate era notevole, con conseguente grande perdita di tempo. Quindi, danneggiando i traffici fluviali, che in quei secoli erano molto diffusi, per la mancanza di strade o per la loro impraticabilità nelle stagioni invernali. Per queste cause, soprattutto con la formazione del Granducato di Toscana, la politica cercò di eliminare progressivamente questi problemi annualmente ricorrenti.

L’eliminazione dei numerosi meandri del fiume Arno, sono stati effettuati nei secoli in numero crescente, iniziando soprattutto da Cosimo I dei Medici ed a seguire con i suoi successori. Gli allineamenti effettuati hanno incrementato progressivamente la corrente fluviale nelle ricorrenti piene dell’Arno, spostando verso la foce migliaia di tonnellate di sedimenti fluviali, dovuti alla corrosione dell’alveo e delle rive, sia del fiume che dei suoi affluenti, in funzione dei progressivi allineamenti effettuati nel corso degli anni.

Questi interventi di allineamento delle anse fluviali dell’Arno (ed anche di alcune del Serchio), realizzando nuovi argini e rinforzandoli di continuo, produssero un abbondante apporto sedimentario alle loro rispettive foci tale da determinare una progressione accentuata della costa, avvenuta soprattutto nel Cinquecento. Scrive il professor Emanuele Repetti: “Nel 1458, incominciò l’impresa d’incanalare fra le circoscritte sponde il fiume principale della Toscana”. In pratica, da parte dei corsi fluviali naturali ci sono voluti molti secoli di sedimentazione dei fondali marini per avere la progressione della costa, da San Piero a Grado fino all’attuale Torretta, l’antica Torre di foce, visibile nella mappa del “Piano di Pisa” di Leonardo da Vinci.

La Torre, presente da secoli in questo luogo, fu ampliata nel 1355: essendo la torre di foce d’Arno, per la vecchiezza sua, in male stato; la Repubblica ordinò di farne una maggiore, bastante a ricevere più numero di gente della prima. Dettesi la cura di questa fabbrica a Nicolajo Gambacorta, a Ricucco Ricucchi e Francesco Griffi; che con molto onor loro, la fecero tirare a fine. Questo riferimento storico dimostra l’avanzamento minimo del litorale in quell’ampia zona. Da evidenziare, che l’unica Torre di foce presente in questa mappa del “Piano di Pisa” è situata sulla riva sinistra dell’Arno. Non sono presenti, in questa mappa del 1503, altre torri sul litorale. In quegli anni di guerra tra pisani e fiorentini, questa torre litoranea alla foce dell’Arno era un obbiettivo militare, quindi la sua precisa posizione in una carta geografica era essenziale. Nell’estate del 1500 la torre di foce fu conquistata dalle milizie fiorentine.

La profondità dei fondali marini antistanti Torretta doveva essere necessariamente già limitata in estensione, per favorire in solo questo secolo l’espansione accentuata della costa. Quest’ultima, nei lontani secoli trascorsi, era progressiva ma limitata nel tempo, poiché alla foce giungevano pochi sedimenti fluviali, in quanto quest’ultimi si distribuivano, con le frequenti esondazioni, in gran parte sul territorio interno ed infine, nelle paludi litoranee diffuse ampiamente in quei secoli. La torre di avvistamento posta alla riva sinistra dell’Arno deve essere stata costruita verso la metà di quel secolo, in funzione dell’espansione notevole della costa in quel tempo. Alle pagine 158 e 159 di Litoralis, ho illustrato questi luoghi, dove era presente dal 1165, la Turrita de fauce d’Arni.

La foto pubblicata (vedi sopra) mostra la parte dell’antica Torre di Foce, rimasta inglobata nel casale a Torretta, con un basamento a scarpa a pianta quadrata o rettangolare con lati di dimensione compresa tra i 5 ed i 6 metri. L’altra torre di foce, sulla riva destra dell’Arno, rimasta inglobata nel casale della Fattoria Arnovecchio, di cui si ignora la data di costruzione, fu edificata in posizione leggermente avanzata rispetto alla precedente, sulla sponda opposta del fiume.

Nei primi anni del secolo successivo, per problemi relativi al defluire delle torbide dell’Arno verso la sua foce naturale, soprattutto durante le violente libecciate che ne ostacolavano il deflusso in mare, fu deciso di spostare la foce dell’Arno verso nord, assecondando anche l’opera del corso fluviale, in quanto l’Arno tendeva in quel tempo a spostare il suo alveo terminale in quella direzione. Quindi, nel 1606 fu realizzato il nuovo percorso dell’Arno, partendo dalla località dei Bufalotti fino all’attuale foce. Il vecchio alveo dell’Arno fu abbandonato, per essere colmato progressivamente, con un opera secolare di bonifica.

Il termine di confine del vecchio alveo, in prossimità dell’antica foce, si trova alla recinzione della vecchia Colonia dei Ferrovieri, situata all’incrocio tra la Via Arnino e Via Flavio Andò. La stele è posta sulla Via Arnino. Espansione resa possibile, tengo a ribadire, a causa dell’incremento dei sedimenti pervenuti sui fondali marini, prodotti dalla corrosione dell’alveo e delle rive del Fiume Arno, ed infine, del Serchio, per l’aumento della corrente fluviale originata dai numerosi interventi di allineamento delle anse e rinforzo degli argini degli stessi fiumi e sui loro vari affluenti.

Con la sua ampia foce, l’Arno ha rallentato allo sbocco in mare la corrente fluviale nelle piene ricorrenti, consentendo un’abbondante sedimentazione (di natura soprattutto argillosa, date le caratteristiche di torbidità del fiume), nel suo estuario con la presenza dell’ampia barra di foce, ben visibile nella Carta Antoniacci, contribuendo all’accentuazione sempre più marcata della curvatura delle lame costiere che qui si riscontra.

Dalla foto dal satellite del delta fluviale del Fiume Arno si possono riconoscere gli antichi meandri del fiume, le anse dell’Arno, che erano presenti nella pianura pisana ad occidente della città. Ben evidente inoltre, alla foce dell’Arno, anche la curvatura accentuata delle lame costiere, sul territorio litoraneo del Parco Naturale di San Rossore. Al contrario, le lame interne, che rappresentano antichi cordoni litoranei, sono pressoché rettilinee. Questo significa che i sedimenti fluviali che giungevano in mare erano limitati: le correnti litoranee li distribuivano lungo la costa e quest’ultima avanzava lentamente.

Dopo gli interventi progressivi d’allineamento del corso dell’Arno e del Serchio, con la loro graduale arginatura, sempre più massiccia e rialzata, lungo il corso dell’Arno e dei suoi affluenti, l’avanzamento della costa è avvenuto in circa un secolo: da poco oltre Torretta (ed anche dall’altra torre di foce, a nord dell’Arnovecchio), fino alla linea dove si trova l’attuale Marina di Pisa (pressappoco dove adesso è Via dell’Ordine di Santo Stefano).

Un avanzamento considerevole della costa pisana generato dalla progressiva corrosione dell’alveo dell’Arno (ma anche del Serchio), sempre più allineati ed arginati, che quindi incrementando costantemente la loro corrente fluviale, hanno prodotto un apporto sedimentario cospicuo alle loro rispettive foci. Una mappa che evidenzia la progressione della costa pisana nei primi anni del Seicento è quella elaborata da Cesare Antoniacci, che completò questa Carta nel settembre del 1610. Una mappa accurata che riporta anche la scala delle distanze in miglia toscane.

prof. Giorgio Gentilini

Nota: lo studio completo si può leggere qui.
Il link: https://app.box.com/s/7fhfrqzl0atkzyl63avzayyikhkrk8uz

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