Ilaria Clara Urciuoli

Guerre e paci si consumano sotto gli occhi fermi dell’arte. Fiera e delicata, decisa e femminile nei suoi drappi la “Pace di Kiev” non fa eccezione: nascosta anche lei in bunker dove non possano ucciderla i colpi di mortaio quella figura alata con i piedi poggiati a terra è specchio delle nostre emozioni intorno alla guerra.

A riflettere su come questa violenza sia perdita per il genere umano interviene Vittorio Sgarbi che ieri ha presentato alla città di Firenze il modello in gesso della statua conservata a Kiev, opera che sarà visibile fino al 18 settembre prossimo nella sala Leone X in Palazzo Vecchio. “L’arte vince sulla guerra”, il sottotitolo della mostra, è anche messaggio politico della necessità di intensificare gli sforzi per la pace, rappresentata dal Canova mentre schiaccia il serpente, simbolo già dai tempi dei romani della guerra che striscia sulla terra, casa dell’umano.

La “Pace” diventa quindi icona che richiama una genesi ricca di contraddizioni, come ricorda lo stesso Sgarbi, “perché è stata concepita da Canova nel 1811-1812, realizzata nel 1815 per un committente russo morto prima di vederla. Nikolaj Petrovič Rumjancev è un politico e diplomatico russo, menzionato anche da Lev Tolstoj in ‘Guerra e Pace’. Nonostante una carriera militare alle spalle, è un pacifista, filofrancese, ammiratore di Napoleone – che proprio in quegli anni si mobilitava contro la Russia (ndr) -, amante dell’Europa, per la quale viaggia dal 1774 al 1776 (anche in Italia), studiando e incontrando personalità del calibro di Voltaire”.

La statua, che doveva rendere onore alle paci stipulate dalla famiglia Rumjancev in quel mondo di guerre e tensioni, rischiò di non essere realizzata vista la marcia che Napoleone intraprendeva nel 1812 in Russia. Ma la “Pace”, almeno quella di marmo, vinse allora sulla guerra arrivando in Russia dove, alla morte del committente, venne donata allo Stato e conservata prima a San Pietroburgo poi a Mosca.

Da qui, quasi settanta anni fa, fu spostata per trovare il suo posto nel museo di Kiev. A volere questo viaggio fu una figura che inevitabilmente ci ricorda quanto profonde siano le radici della questione che oggi si tenta di risolvere con le armi: Nikita Krusciov. Lui, filorusso, proveniente da una famiglia di contadini vissuti nel Donbass, si distinse nella lotta alla resistenza del nazionalismo ucraino per poi diventare uno dei più influenti politici sovietici e ricoprire, alla morte di Stalin, l’incarico di primo segretario del Comitato centrale del partito comunista dell’URSS.

Agli occhi dell’attualità Canova sembra con questa statua aver intrapreso un processo di pace (diverso e parallelo a quello del coevo Congresso di Vienna) che potesse racchiudere, o quanto meno avvicinare i popoli. Interessante a questo proposito il carteggio tra lo scultore e l’ambasciatore di Vienna che era incaricato di fare da intermediario, ritrovato poco meno di venti anni fa da Irina Artemieva, conservatrice dell’arte veneta al Museo Ermitage. In queste lettere si discuteva sulla lingua da utilizzare per le iscrizioni sul marmo. Si raggiunse il compromesso con la scelta del latino, lingua franca che oggi unisce l’Europa. Anche se, amaro a dirsi, questo fu grazie alla forza delle centurie in tempi lontani.

Ilaria Clara Urciuoli

 

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