Ilaria Clara Urciuoli

Era il prete degli ultimi e dell’inconfondibile sorriso portato nelle periferie tanto della città quanto del mondo: a nove anni dalla scomparsa Firenze ricorda don Renzo Rossi attraverso l’ampia mostra fotografica a lui dedicata organizzata dalla Fondazione La Pira e da Arcton (l’Associazione Archivi di cristiani nella Toscana del Novecento) e ospitata da sabato 19 marzo e fino al 3 aprile nel chiostro grande della Basilica della Santissima Annunziata. In quelle immagini, in quei documenti, riecheggia il messaggio di questo fiorentino, un messaggio testimoniato da un lungo viaggio nella povertà e nella sofferenza.

Partenza e approdo sono il capoluogo toscano, dove ha mosso i primi passi alla ricerca del suo modo di vivere la vocazione: “Sentivo il bisogno – diceva ripercorrendo gli anni giovanili – di avvicinarmi ai lontani, in un rapporto di amicizia, senza fare propaganda religiosa, per essere il prete un po’ di tutti”. Dopo le esperienze pastorali di Montelupo e San Gervaso eccolo dunque avviarsi verso chi non lo cercava, verso gli operai: nel 1952 diventa cappellano di fabbrica all’Italgas di Rifredi, poi alle Ferrovie di Porta a Prato. I lavoratori, inizialmente ostili, gradualmente accettarono quella figura, presenza costante al loro fianco tanto da chiamarlo in strada durante le manifestazioni, all’epoca quasi inevitabilmente colorate di rosso. Ed è ancora vicino al popolo lavoratore quando, nel 1958, la crisi della “Galileo” rischiava di lasciare a casa 900 operai. Grazie alla fiducia che il cardinale Dalla Costa aveva per lui la Chiesa intervenne spingendo verso una mediazione che poi fortunatamente arrivò.

Da qui, anzi dai precedenti anni di seminario, prende il via la narrazione fotografica curata da Andrea Fagioli, Carlotta Gentile e Piero Meucci: circa centotrenta scatti seguono il prete negli anni delle missioni, prima tra tutte quella in Brasile. Qui il 6 gennaio 1966 si insedia nella poverissima realtà di Alto do Peru, a Bahia, in una parrocchia che contava 130mila persone. Erano gli anni della dittatura militare e don Renzo Rossi approda nelle carceri, a dare sostegno ai prigionieri politici. In particolare seppe conquistarsi la fiducia di un condannato a morte, Theodomiro Romeiro do Santos, che una volta libero testimonierà l’importanza del lavoro svolto dall’amico: “Ha accompagnato la liberazione di quasi tutti i prigionieri politici, aspettandoli fuori dal carcere e aiutandoli al loro reinserimento nella società”.

A ricostruire la biografia del “sacerdote degli ultimi” è il giornalista di Avvenire Andrea Fagioli che prende spunto dalla grande quantità di lettere, diari, documenti e fotografie conservate negli archivi di Arcton per delinearne il carattere e raccontarne l’esperienza nel volume “Renzo Rossi, prete. Una vita sulle strade degli ultimi, dalle periferie fiorentine alle favelas brasiliane” (Sarnus 2022). Per parlarne abbiamo rivolto alcune domande all’autore, Andrea Fagioli.

Come nasce l’idea di questo libro?

“Nasce all’interno dei progetti di Arcton, l’Associazione degli Archivi di cristiani nella Toscana del Novecento, che raccoglie, ordina e studia gli archivi di eminenti figure del mondo cattolico fiorentino e toscano del secolo scorso. Tra questi archivi, uno dei più importanti è proprio quello di don Renzo Rossi, basti pensare ai 743 quaderni che costituiscono il suo diario lungo settant’anni, dal 1943 al 2012, in cui ha annotato, con una costanza incredibile, giorno per giorno, tutti gli avvenimenti, le sue riflessioni, compresi dei veri e propri colloqui con il Padreterno. Ma non solo: i quaderni li ha pure riletti e corretti come revisione della sua vita dai 17 anni agli 87 anni. Dalla lettura di questi quaderni, che la famiglia di don Renzo ha messo a disposizione di Arcton, è nato il libro, così come in precedenze ne sono nati altri su don Ajmo Petracchi o Ettore Bernabei”.

Quale messaggio di don Rossi vuole recuperare e restituire alla contemporaneità?

“Essendo morto nel 2013, don Renzo è di fatto un contemporaneo. Sono tanti quelli che lo hanno conosciuto, che gli sono stati amici, anche perché, chiunque avesse l’opportunità di avvicinarlo, non poteva non diventargli amico. A parte questo, il suo messaggio sta nella sua vita, nel suo esempio, nella sua fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, nella sua attenzione agli ultimi, nel suo essere prete per gli altri, «un mercante di sole per tutti», diceva lui. Un prete che teneva così tanto ad esserlo da firmarsi ogni volta «Renzo Rossi, prete», che è appunto anche il titolo del libro. Sulla sua tomba voleva che ci fosse scritto: «Sono stato sempre un prete felice e sono stato sempre felice di essere prete». Eppure, era tutt’altro che clericale. Da buon fiorentino dava di «bischero» anche ai cardinali. Si definiva «schizzibollente» e si vantava di conoscere cinquecento parolacce, ma di averle sempre dette con intenzione benevole. Le persone a lui più vicine sono state quelle che si sono prese più volte di «bischero» e magari anche qualche nocchino”.

Quali rapporti ha avuto don Rossi con altri sacerdoti di frontiera come padre Balducci, don Milani, don Mazzi e David Maria Turoldo?

“Don Renzo ha avuto rapporti di amicizia e di confidenza spirituale con tanti sacerdoti. Tra i primi, ci sono i suoi «fari» (il cardinale Elia Dalla Costa, don Raffaele Bensi, monsignor Enrico Bartoletti, don Giulio Facibeni…), ma anche i suoi compagni di Seminario, come don Lorenzo Milani di cui riteneva l’amicizia «una delle cose più preziose» che avesse. Dagli incontri con don Milani, don Renzo diceva di ricevere sempre un bene: «Mi entrano sempre in testa idee nuove e concrete». Ovviamente ha avuto buoni rapporti anche con gli altri religiosi rammentati: Balducci, Turoldo…. Forse con don Mazzi è stato un po’ più critico in quanto i due non condividevano l’idea di obbedienza. Un po’ come poi sarebbe successo più tardi con don Alessandro Santoro verso cui don Renzo riconosceva amicizia, ma ogni tanto lo invitava «a fare il bischero meno possibile» perché rischiava di non essere capito.

Don Rossi ha girato il mondo con le sue missioni portando con sé il suo essere fiorentino nel modo di parlare e di essere. Quale era il legame con questa città che lo ha visto nascere e dove, dopo tanto peregrinare, si ritrovò alla fine della sua vita?

“Don Renzo è stato un giramondo. A parte i 32 anni in missione in Brasile, ha visitato 106 nazioni di tutti e cinque i continenti con oltre mille voli aerei. Credo sia un record, ma non è il solo. Di record, don Renzo ne ha messi insieme tanti, compresi i chilometri percorsi in bicicletta. In ogni caso, il suo amore per Firenze, pur viaggiando tanto, non è mai venuto meno. Basti pensare che prima di ogni partenza, saliva all’alba al Piazzale Michelangelo per godersi la vista della sua città. Il rapporto di don Renzo con Firenze è sempre stato molto intenso. Quando gli consegnarono il premio «Città di Firenze», don Renzo manifestò tutto il suo orgoglio di essere fiorentino raccontando che «quando all’estero mi domandano se sono italiano, io rispondo che sono fiorentino»”.

Da questo sabato sarà possibile vedere la mostra fotografica a lui dedicata nel chiostro grande della Santissima Annunziata. Quali sono per lei le foto più significative e perché?

“Premetto che mostra e libro vanno di pari passo e si integrano. Detto questo nel libro c’è ovviamente più scritto e più cronaca, nella mostra, essendo fotografica, ci sono, com’è naturale, più foto, pur trattandosi di una selezione tra migliaia. Per cui mi verrebbe da dire che tutte sono importanti e significative. Dopo di che ce ne sono alcune che a me, personalmente, piacciano più di altre e sono quelle legate alle sue passioni, ad esempio, allo scrivere e alla bicicletta. Ci sono immagini molto belle in cui don Renzo è intento a scrivere su uno dei suoi 743 quaderni, oppure quelle di lui in bici sul Pordoi o il Galibier, i mitici colli del Giro d’Italia e del Tour de France. Ma la più bella di tutte le foto «sportive» è quella di don Renzo che in salita stacca l’amico e compagno di Seminario don Danilo Cubattoli, il mitico don Cuba, a cui persino la prestigiosa «Domenica del Corriere» dedicò nel 1952 una copertina per le sue imprese ciclistiche. Ebbene, secondo quella foto don Renzo era più forte di don Cuba. Ma questi sono aneddoti, il resto delle foto sono la vita di don Renzo con sullo sfondo la storia di Firenze e in gran parte del Brasile”.

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