Paolo Lazzari

Linda Sironi, Matteo Bianchini, Ilaria Nerli e Silvia Giannotti. Quattro destini che si intersecano, nel segno della storia dell’arte, delle sue imprevedibili pulsazioni e della strenua volontà di raccontarla dando adito a nuove declinazioni espressive. Giovani, toscani con gli ammennicoli, disposti in blocco sulla rampa di lancio: dopo la laurea a Firenze in Beni artistici si cimentano con le arti visive a Bologna. Gli studi conclusi lasciano però qualcosa di inespresso, come una sorta di grido interiore che se ne sta lì, sospeso a metà all’altezza dello sterno, smanioso di uscire fuori. Così questo irredimibile manipolo di storici dell’arte costruisce un progetto – Untitled n. 4 – per comunicare il patrimonio culturale fiorentino (lo sapete che hanno creato anche una guida per la Firenze contemporanea? ndr) puntando dritto al cuore dei coetanei e non soltanto. Come? Attingendo alle loro stesse affilatissime armi, i social. Il risultato è folgorante.

Qual è stata, personalmente e collettivamente, la scintilla che ha fatto decollare il progetto?”
Da tempo ognuno di noi cercava un modo per poter trasmettere e usare in modo pratico le proprie conoscenze e la propria passione. La scintilla è scoccata, definitivamente, dopo il primo lockdown. Ne parlavamo da mesi e tra di noi erano nate varie proposte, dal giornale fino ad un podcast, la pandemia ha fatto il resto. Il digitale ha avuto in quel momento una grande influenza nelle vite di ognuno di noi, l’elemento di congiunzione che ci ha permesso sia di continuare a studiare che di comunicare. Ci siamo detti: se non ora, quando?”.

Un po’ storytellers, un po’ urban explorers. Instagram è un veicolo formidabile, ma fendere il muro della distrazione di massa mentre scorri il feed resta un’impresa: come agganciate il vostro pubblico? E chi vi segue principalmente?
“Tra le molte opportunità offerte dal web e dalle piattaforme social in particolare, c’è senza dubbio da mettere in conto il problema della disattenzione causata dalla saturazione di immagini. La nostra “ricetta”, se così vogliamo definirla, sta nel creare dei contenuti di facile lettura, il più immediati possibile. Con i nostri post, che sono di circa 250 parole, vogliamo fare in modo che le persone si appassionino ad un determinato argomento, in modo tale che possa nascere uno spontaneo interesse e una naturale voglia di approfondire. Non vogliamo e non possiamo essere esaurienti, perché gli artisti e le correnti hanno miriadi di sfaccettature che richiedono conoscenze trasversali. Fortunatamente il nostro variegato pubblico – che va da studiosi come noi fino a persone appassionate – risponde molto bene, ed è quello che più ci interessa. Vogliamo creare una community basata non soltanto su un rapporto frontale bensì sul dialogo e la crescita reciproca”.

Quanto è difficile comunicare la storia dell’arte contemporanea, oggi? Qual è il confine percepito tra disinteresse e lucida inconsapevolezza del pubblico?
“Comunicare la storia dell’arte, in particolare quella contemporanea, è sicuramente difficoltoso perché richiede un’educazione ed un approccio al ‘guardare’ completamente diverso. La maggior parte di noi, a Firenze in primis, vive un rapporto diretto con la storia: possiamo camminare e respirare con e dentro il passato! Questo ha sicuramente rallentato il processo critico verso qualcosa che è considerato differente, sia dal punto di vista estetico – elemento in primis che fa storcere la bocca ai più – ma anche poetico. Capire se è disinteresse o semplicemente inconsapevolezza non è molto semplice; spesso le due cose si accomunano, ma questo non vuol dire che se una persona esprime un commento negativo a priori non possa poi cambiare opinione. Spesso c’è semplicemente bisogno di toccare i tasti giusti, cosa che nel nostro piccolo ci auguriamo di riuscire a fare”.

Il miglior progetto è sempre il prossimo, ma fino a qui cosa vi ha fatto sussultare di più lungo questa esperienza?”
“È difficile dirlo. Siamo stati così entusiasti di ogni piccola o grande cosa che ci è accaduta in questo anno e 2 mesi di vita che è davvero complesso dover sceglierne una in particolare. Mettiamola così, già il fatto di non riuscire a selezionarla è motivo di orgoglio per noi, significa che nel nostro piccolo ci stiamo togliendo delle soddisfazioni. Una cosa è certa, questo è solo l’inizio…”

Nel frattempo avete i riflettori puntati addosso: ospitate in radio nazionali e collaborazioni prestigiose raccontano un successo sincero: come è accaduto?
“Facciamo una brutta figura se diciamo che non ne abbiamo idea? A parte gli scherzi, crediamo che quest’anno ci abbia insegnato che se affrontiamo le cose con passione, dedizione e voglia di mettersi in gioco, possiamo toglierci delle belle soddisfazioni. Forse però c’è, oltre a queste caratteristiche, un elemento ci differenzia da altri progetti proposti in rete: siamo quattro. Le nostre diversità sono un punto di forza perché pensiamo e vediamo le cose in modi diversi e questo, anche se può diventare caotico, porta ad un risultato finale eclettico e frutto di dialogo”.

In un paese intriso di arte, la vostra materia è spesso relegata al ruolo di suppellettile ed il rischio è quello di rimanere irrisolti. Vi sentite almeno parzialmente traditi dalle istituzioni? Come si corregge un fato in salita?
“Il problema che circonda il mondo della cultura e in special modo quello dell’arte contemporanea, soprattutto in Italia, è un qualcosa che sicuramente sentiamo debba essere risolto, non solo per i nostri studi, quanto perché crediamo sia indispensabile creare un’arte più vicina ai nostri tempi. Non dobbiamo mai dimenticare che tutta l’arte è stata contemporanea e l’enorme patrimonio che ci circonda non può che fungere da fucina produttiva di nuove metodologie ed espressioni in continuità con il passato, per un presente e soprattutto un futuro di incontri tra generi e generazioni differenti. Per correggere un fato in salita riteniamo sia indispensabile una vera e propria politica culturale, tesa a valorizzare le arti visive in ogni sfaccettatura e l’amministrazione pubblica in tal senso ha un onore e un onere molto importanti. Ultimamente, parlando della città che più ci lega a questo progetto, la nostra Firenze, le cose sembrerebbero piano piano cambiare con una sempre maggiore attenzione alle arti del secondo millennio. Ovviamente questo non deve e non può accontentarci visto che siamo indietro anni luce rispetto ad altri stati europei, ma restiamo fiduciosi. D’altronde, se non fossimo un po’ pazzi, ottimisti e sognatori, non avremmo scelto questo percorso”.

 

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