Si è concluso il restauro della Pietà Bandini di Michelangelo, iniziato nel novembre 2019 e più volte interrotto durante la pandemia. Il lavoro è stato molto utile per comprendere ancora più a fondo la storia del capolavoro, le fasi di lavorazione e la tecnica scultorea utilizzata. Liberata dai depositi superficiali, la statua torna al suo antico splendore, scolpita com’è noto in un unico blocco. Grazie al cantiere di restauro “aperto” i visitatori del Museo dell’Opera del Duomo hanno potuto seguire i lavori in corso d’opera. In via eccezionale, per i prossimi 6 mesi, dal 25 settembre 2021 al 30 marzo 2022, l’Opera di Santa Maria del Fiore ha deciso di lasciare il cantiere per permettere al pubblico, con delle visite guidate, di vedere da vicino e in un modo unico e irripetibile, la Pietà restaurata.

Commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore grazie alla donazione della Fondazione non profit Friends of Florence, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Pistoia e Prato, il delicato lavoro è stato affidato alla restauratrice Paola Rosa, che vanta un’esperienza trentennale su opere di grandi artisti del passato, con la collaborazione di Emanuela Peiretti, coadiuvate da un’equipe di professionisti interni ed esterni alla stessa Opera.

Realizzata con il marmo di Seravezza (non di Carrara)

Le quattro figure raffigurate nell’opera, tra cui l’anziano Nicodemo che ha il volto dell’artista, furono scolpite in un blocco di marmo, alto 2 metri e 25 centimetri, del peso di circa 2.700 kg. Dalle indagini diagnostiche effettuate si può dire con esattezza che il marmo utilizzato proveniva dalle cave di Seravezza (Lucca) e non di Carrara. Una scoperta importante perché le cave di Seravezza erano di proprietà medicea e Giovanni de’ Medici, futuro Papa Leone X, aveva ordinato a Michelangelo di utilizzarne i marmi per la facciata della chiesa di San Lorenzo a Firenze e di aprire una strada per poterli trasportare al mare e imbarcarli.

La Pietà Bandini fu scolpita a Roma tra il 1547 e il 1555. Michelangelo a quanto risulta non era molto soddisfatto della qualità di questi marmi poiché presentavano alcune venature impreviste e delle microfratture difficili da individuare dall’esterno. È proprio grazie al restauro effettuato che è stato possibile accertare che il marmo utilizzato era difettoso, come racconta anche il Vasari nelle “Vite”, descrivendolo duro, pieno d’impurezze e che “faceva fuoco” a ogni colpo di scalpello. Sarebbero state riscontrate, infatti, tracce di pirite nel marmo, che colpite con lo scalpello avrebbero causato delle scintille.

Secondo le fonti esaminate dagli studiosi la Pietà non era mai stata restaurata prima di oggi,  se non poco dopo la realizzazione, quando sul capolavoro mise mano Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, tra numerosi passaggi di proprietà e traumatiche vicende storiche, la Pietà ha subito varie manutenzioni, considerate però di normale routine e proprio per questo non documentate.

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