Ilaria Clara Urciuoli

Pistoia si racconta con due mostre profondamente diverse ma entrambe testimonianze della vita artistica della città dal secondo dopoguerra ad oggi. Ben articolata e molto affascinante quella antologica, curata da Paola Goretti e Marco Menguzzo, su Aurelio Amendola, fotografo pistoiese che attraverso i suoi scatti è testimone dei molteplici volti dell’arte nazionale e internazionale, antica e contemporanea. E il valore di queste testimonianze si evince su più fronti, dalla sua capacità di costruire una foto attraverso il posizionamento di luci, la scelta di prospettive e l’uso della camera oscura così come evidente nei suoi lavori sulle sculture (Michelangelo, Bernini, Canova, Marini sono solo alcuni dei nomi che si possono citare in questa sezione), alla capacità altrettanto importante di attendere e cogliere l’attimo, di entrare rispettosamente in contatto con gli artisti (tanti) che ha fotografato portandoci nei loro studi sporchi di colori e di realtà, facendoci partecipare attraverso il movimento a quel processo creativo di cui lui era osservatore. Nel Palazzo Buontalenti fino al 7 novembre, sono in mostra molte di queste immagini che vanno sotto il nome di Happenings, come sono esposti molti dei ritratti fatti ai suoi contemporanei. Pieni di personalità sono poi le fotografie fatte alle architetture: tra queste il Duomo di Milano, che visto da Amendola assume toni quasi intimi pur lasciando trapelare nettamente il mistero racchiuso nelle tante guglie rivolte al cielo, e i sassi di Matera, che nei suoi scatti ci riportano a una dimensione primordiale dell’uomo. All’esposizione la Fondazione Pistoia Musei affianca una serie di iniziative che si svolgono durante i fine settimana volte a coinvolgere il pubblico su tematiche inerenti.

Più raccolta invece la mostra Pistoia Novecento, sguardi sull’arte del secondo novecento, nel Palazzo de’ Rossi fino al 9 gennaio prossimo. I curatori – Alessandra Acocella, Annamaria Iacuzzi e Caterina Toschi – hanno ripercorso, attraverso i nomi di artisti legati alla città, la storia dell’arte a partire dagli anni Cinquanta individuando cinque macro-aree: Realismo e figurazione, Astratto, materico e programmato; Oggetto e immagine; Natura e artificio; Segno, gesto, ambiente. Il percorso, che è ideale continuazione della mostra conclusasi nel 2020 in cui erano esposte le opere del primo Novecento, si apre con una serie di foto e documenti d’epoca che ci presentano, attraverso visi e scritti, gli artisti di cui andremo a conoscere le opere, partendo da quella generazione di mezzo che, scegliendo una figurazione lontana da ogni etichetta politica, giunge a piena maturazione negli anni Cinquanta. Incontriamo qui la pietà racchiusa ne Le madri di Jorio Vivarelli e la delicatezza nella serena quotidianità di Madre-gioco di Valerio Gelli; sempre qui troviamo l’immagine vivace, quasi giocosa di Cane atomizzato di Agenore Fabbri e la Mendicante di Giuseppe Gavazzi che sembra ancora nascondere la sua persona nel legno che le ha dato forma.

Dalla figurazione si passa all’astratto attraverso il pistoiese Gualtiero Nativi che a Firenze difende e diffonde una ricerca astrattista impegnata in un dialogo con l’architettura. Qui, insieme a Nativi, troviamo esposti Vinicio Berti, Agenore Fabbri, Fernando Melani, Mario Nigro, Lando Landini e Gianfranco Chiavacci. Interessante la sezione Oggetto e immagine in cui sono presentate opere che riprendono in chiave personale e italiana la pop-art che si stava diffondendo nel mondo e, accanto a queste, oggetti di design tipici della sensibilità e del gusto dell’epoca. Entriamo in contatto con un’atmosfera giocosa quando ci imbattiamo nel Manifesto della mostra Superarchitettura, allestita nel 1966 alla galleria Jolly 2 di Pistoia dai gruppi fiorentini di architettura radicale Superstudio, e notiamo, attraverso i collage di Remo Giordani, come la società e la cronaca entrino di prepotenza in quel periodo nell’arte mentre l’uomo perde la propria individualità e diventa Folla per Adolfo Natalini.

La mostra continua evidenziando la relazione tra arte e natura e nel racconto delle esperienze del Teatro Comunale Manzoni che negli anni Settanta ospitò diverse personalità del teatro di avanguardia. La Fondazione Pistoia Musei racconta così, attraverso l’arte, l’identità della città e la sua bellezza, mettendo in risalto il legame tra opere e comunità di appartenenza.

Ilaria Clara Urciuoli

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