Tra qualche giorno, quattro anni fa, Livorno ebbe la sua alluvione.
Me ne sono ricordato adesso, per caso.
Un pensiero veloce che mi è tornato alla mente, osservando questi bimbi felici che ridono sulla spalletta assolata, ai Tre Ponti.
Corrono sulla piccola lingua di sabbia ardenzina , nuotano senza paura verso dove, ancora oggi, c’è quella carcassa.
Nel mare blu.
Trascinata dalla furia di quella notte.
Chissà di chi era quell’auto, un ammasso di lamiere sott’acqua, che silente e curiosa, ancora oggi, ci osserva.
E sorride alla vita che ancora c’è.
E ascolta chi vuole dimenticare.
E poi, ascolta chi dentro al cuore si porta un peso e si sente trascinare via, affogare in un’aria cupa, lugubre, fosca e senza luce.
Perché con la testa è ancora alla pioggia incessante, ai boati, alla morte, a quanto ha perso e non ha mai più ritrovato.
La vita va sempre avanti, l’amore va cercato dentro.
I colletti bianchi arrivano, tagliano i nastri e si fanno le foto.
Abu intanto passa dieci volte al giorno con la sua roba.
Sorride, saluta con un “Vieni, de’! Allora, dottore?”, e se ne va.
Guarda verso il mare.
Magari pensa a quanto ha lasciato a casa sua, dall’altra parte del mondo.
Mimosa non è un fiore, è il romanzo che ho sempre voluto scrivere. Era dentro di me, ma è stata l’alluvione a tirarlo fuori.
Racconta la vita che ancora c’è.

Carlo Banchieri

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