Francesco Fasulo

La sorte che tocca ai più fortunati è quella di diventare genitore dei propri genitori. A me questa dolce tortura non è ancora capitata. Mi rendo conto dalla cabina di controllo su strada che occupo che è, per alcuni, uno dei drammi dei nostri giorni. Accentuata dalla strage silenziosa dello scorso anno l’esigenza di fornire un’assistenza decorosa a chi ci ha allevato, magari vivendo lontano dai propri affetti, in mezzo a mille difficoltà tra fame, freddo e affitti rifiutati è diventata improcrastinabile. Parlo di ciò che conosco, campani, calabresi, siciliani, sardi, veneti, friulani, toscani che hanno edificato il paese a domicilio, nel “triangolo del sudore”.

La locomotiva del Paese costruita da questi “diavoli nella polvere” di fabbriche e cantieri che erano spesso l’unico rifugio di socialità che i nostri vecchi si potevano permettere. Quelli che malgrado non avessero nulla ci hanno insegnato il valore più grande: la dignità. Quelli felici con le pastarelle della domenica, la 127 colore aragosta, due settimane al Paese e un figlio diplomato ragioniere. Ora come li ripaghiamo? Li lasciamo “soli come i pali della luce”? (cit “I vecchi“, Claudio Baglioni). Urge una soluzione o saremo travolti dal problema.

In città si cerca di rendere la vita più semplice con servizi mirati spesso mal pubblicizzati e carenti. È tutto molto complicato. Costruire una città della senescenza, con tutti i servizi che servono ai nostri vecchi sarebbe utopico? Coccolarli come bambini, perché quando un anziano ci lascia è come se bruciasse una libreria.

 

Foto: Pixabay

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