Paolo Lazzari

Suona la sveglia e la radio ispeziona la stanza. Quel rumore improvvido inquina i pensieri, sussurrandoti – sleale e carsico – che girarti dall’altra parte non è un’ipotesi contemplata. Cosa devi fare di tanto importante? La risposta è incisa sulla facciata della tua università, a Pisa: facoltà di Lettere e Filosofia, recita la scritta che campeggia in alto, austera. Un bel dilemma per un livornese come te. Comunque ai tuoi hai cincischiato qualcosa, una di quelle scuse buone per essere riciclate un trilione di volte almeno, una cosetta come “ma certo che li do gli esami, all’ultimo ho pure preso ventisette!”. Invece c’è qualcos’altro che spinge dall’interno, tappezzando di aspirazioni la fase che segue all’adoloscenza. Ci sono i racconti di Mark Twain e Charles Dickens, che hai divorato da piccolo. C’è quel patto che hai stretto con il tuo amico del liceo, Francesco Bruni: oggi non puoi mica saperlo, ma diventerà un alleato indispensabile. E poi, sopra ogni cosa, c’è lei: la passione per la sceneggiatura.

“Paolo, ma che ci vai a fare a Roma? Non ci stai bene qui, a Livorno?”. È la supplica laica di una madre che teme troppo il grande salto. Babbo, invece, è un carabiniere siciliano che scuote la testa. Di cognome fa Virzì. Certo, l’ansia è già più di un pensiero fluttuante. Lasciare la provincia toscana, quella che ti ha abbeverato per tutti questi anni, a molti appare semplicemente implausibile. Solo che te non rientri nella categoria. Città eterna. Centro Sperimentale di Cinematografia. Eccoti. È qui che inizia la vita, altroché. Incontrerai Gianni Amelio e Furio Scarpelli: quest’ultimo diventerà decisivo. Un maestro, un’ancora sicura, l’uomo che ti farà imboccare le porte scorrevoli dell’esistenza dal lato giusto. Inizi a fornire il tuo apporto per le prime sceneggiature. Il destino che non c’era mai stato adesso passa di qua.

Il tuo cinema rispecchierà quell’essenza toscana che deflagra nelle vene. Irriverente, a tratti dissacrante – del resto non sei credente – ma anche striato da profondissime venature malinconiche, di quelle che sanno procurarti scarificazioni profonde o, se ti va meglio, un nodo in gola. Avete presente la sensazione? Come un ovosodo che resta lì, a meta strada, senza andare né su né giù. Sapete, tre anni prima – è il 1994 – Virzì debutta con “La Bella vita“: Sabrina Ferilli, Massimo Ghini e Claudio Bigagli confezionano un triangolo amoroso infilato dentro Piombino. Il classico tradimento all’italiana che si aggancia alla crisi irreversibile della classe operaia. È solo l’inizio, ma il gingillo mette via tre premi, tra cui un David di Donatello. Con “Ferie d’agosto” la telecamera si sposta sul conflitto tra due famiglie italiane in vacanza a Ventotene, la politica che strepita per scucirsi dallo sfondo, un retrogusto di felicità amara che già padroneggi con disinvoltura. Nel frattempo, quel groppo che avviluppa le vie respiratorie non ha fatto i bagagli. Great expectations. Charles Dickens, di nuovo lui. Le grandi speranze che ti influenzano le riversi in un film che coglierà un successo fotonico, malgrado l’angusta collocazione geografica della storia. Il giovane Piero vive in un quartiere del centro di Livorno, chiamato Ovosodo per il colore delle canotte giallo-bianche indossate in occasione del palio marinaro. Un’esistenze in salita, crivellata di difficoltà, e tonnellate di voglia di riscatto. La giungla quotidiana dentro cui disimpegnarsi e un amico – Tommaso – che sembra condividere le stesse aspettative. I primi amori che assomigliano a certe botte che non lasciano i segni, però fanno male lo stesso. Il solco tra le classi sociali che diventa denuncia e poi, seppur con la riluttanza di chi ci ha provato, disillusione autentica.

Dal film Ovosodo (1997)

Il vecchio Charles ti scodellerà ottime pensate anche per “Baci e abbracci“, un affresco favolistico intriso di commedia sociale, ammantato da un’atmosfera natalizia che diventa balsamo per anime ammaccate.

Caterina va in città” è il momento della riconciliazione con il te di troppi anni fa. Odi et amo. Il rapporto con Roma della protagonista cicatrizza in realtà la tua esperienza con la capitale, punteggiata da picchi di soddisfazione e cocenti delusioni. Con “Tutta la vita davanti” torni a fare i conti con il lato più amaro e disincantato di questa faccenda che non contempla resi: la precarietà che si impossessa di un mucchio di gente, relegandola al ruolo scomodo di trascurabile comprimaria.

Livorno, intanto, è sempre un incendio che sfrigola senza conoscere soste. I ritmi lenti e cadenzati della città fanno il paio con le passioni viscerali che è in grado di alimentare. Non può essere un caso, quindi, se ci torni ancora una volta per girare un altro autentico zaffiro, “La prima cosa bella“. Gli anni sfilano via inesorabili. Il talento però non viene mai dissipato. “La pazza gioia” e “Il Capitale umano” sono tra le ultime dimostrazioni tattili di questo postulato. Lo scollinamento negli Usa per girare con un totem come Helen Mirren (Ella & John) è il riconoscimento ad una carriera impegnata, lucida, a tratti visionaria.

Controverso intruglio di usanze, dialetti, contraddizioni e filosofie di vita ingabbiate da un provincialismo agrodolce, la Toscana diventa sempre il set naturale perfetto. Il teatro a cielo aperto di una pellicola in cui crogiolarsi senza mai potersi sedere, affilando matite e appunti, fino alla prossima sceneggiatura.

Micaela Ramazzotti e Paolo Virzì
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