Otto persone sono indagate nell’ambito di un’inchiesta del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Firenze, sotto la direzione della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano: si tratta di imprenditori e consulenti ambientali campani, toscani e cinesi. A loro vengono contestati diversi reati: associazione a delinquere, illecito traffico organizzato di rifiuti, illecita gestione di migliaia di tonnellate di rifiuti speciali di varia natura, in alcuni casi anche pericolosi.

Le indagini hanno appurato che il sodalizio criminale aveva allestito un redditizio traffico di enormi quantità di rifiuti che, fittiziamente classificati come imballaggi di materiali misti, erano conferiti ad una ditta pratese dal produttore, un’azienda di Napoli, per il tramite del trasportatore, sempre di Napoli, e in seguito venivano smaltiti in impianti e discariche toscane, attestando falsamente che fossero lo scarto di un’attività di recupero rifiuti, di fatto mai effettuata.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e telematiche carabinieri, supportate da diverse verifiche, sequestri e acquisizioni documentali e da accertamenti tecnici, è emerso che l’impianto toscano era il cuore di un meccanismo che ha permesso al sodalizio di smaltire per anni in Toscana rifiuti provenienti prevalentemente dalla Campania, ma non solo, in barba alle normative di settore ed eludendo il fisco, con consistenti illeciti profitti.

Come operava il gruppo criminale? Tutto partiva dai documenti, facendo apparire, carte alla mano, che l’attività svolta presso la ditta pratese fosse quella di recuperare diverse tipologie di rifiuti speciali in ingresso (imballaggi misti vari, ma anche materiali assorbenti, rifiuti misti dell’attività di costruzione e demolizione, materiali isolanti, guaine, scarti della lavorazione del cuoio e dell’industria tessile), mandando la frazione residuale in discarica. I carabinieri però accertato che nell’impianto non esisteva alcuna linea di trattamento meccanico e nemmeno i macchinari necessari al processo di recupero di gran parte dei rifiuti.

I titolari dell’azienda di Prato (che erano a diverso titolo anche soci/amministratori della società di Napoli), con la complicità di consulenti ambientali, imprenditori senza scrupoli e alcuni dipendenti compiacenti, attestavano falsamente l’avvenuta esecuzione di operazione di recupero, limitandosi solo a ricevere presso l’impianto ingenti quantitativi delle diverse tipologie di rifiuti, stoccandoli in ampi cumuli indistinti per poi miscelarli, facendo in questo modo perdere l’originaria identità e tracciabilità. Dall’impianto di Prato così uscivano rifiuti pronti per essere poi smaltiti in discarica, come se fossero il risultato di operazioni di recupero (in realtà mai eseguite). L’unico lavoro svolto era accogliere rifiuti, stoccarli e mischiarli tra loro.

Dal 2014 al febbraio 2018 si calcola che l’attività illecita abbia fruttato circa 2 milioni di euro, conseguenti dall’abbattimento dei costi aziendali, concorrenza sleale e agevolazione per mancata applicazione della cosiddetta “Ecotassa” regionale (per effetto dell’attribuzione errata del codice rifiuto e, ancora, grazie all’applicazione dell’Iva al 10% anziché al 22%). Le due aziende, quella napoletana e quella pratese, sono state raggiunte da un provvedimento della Direzione distrettuale antimafia che prevede anche sanzioni sulle quote societarie, poiché i rispettivi amministratori e soci hanno proceduto al trasporto e alla ricezione di rifiuti in quantità superiore a quella autorizzata, qualificandoli con codice rifiuto non corrispondente, al fine di destinarli in discarica per ottenere le agevolazioni e il conseguimento di illeciti profitti.

Tra gli indagati c’è anche un cittadino cinese, imprenditore locale, che si era ritagliato un posto nell’organizzazione agendo come trait d’union tra la ditta di Prato e molte aziende della manifattura tessile e il “pronto moda cinese” operanti nell’hinterland pratese, condotte da suoi connazionali, che avevano la necessità di smaltire ingenti quantitativi di rifiuti tessili prodotti.

 

Foto: Pixabay

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