Si era vendicato di una storia finita male pubblicando, sui siti di incontri a pagamento, la foto intime dell’ex fidanzata, aggiungendo pure il suo numero di cellulare. Con tutte le conseguenze del caso. Denunciato per stalking, revenge porn, sostituzione di persona e diffamazione un 21enne marocchino è stato condannato a tre anni e due mesi di carcere. I fatti risalgono alla scorsa primavera: dopo la denuncia della diciassettenne, a maggio il giovane era stato arrestato.

Per la ragazza l’inferno era iniziato con la fine della relazione, quando il suo ex aveva iniziato a vessarla e persino a minacciarla di morte (e non solo): se non fosse tornata con lui, le aveva detto, avrebbe pubblicato in rete le foto che lei gli aveva inviato quando stavano insieme. Dopo pochi giorni, come accertato dalla polizia postale di Firenze, era passato ai fatti, creando alcuni falsi profili di escort su diversi siti di incontri, e su Instagram, usando una decina di foto della ragazza e il suo numero di telefono. La giovane se ne accorse dopo poco tempo quando iniziò a ricevere telefonate da diversi uomini che le chiedevano di incontrarla. Disperata la ragazza aveva trovato la forza di denunciare il suo ex che, dopo le indagini della Polizia postale, era finito in manette.

“Condividere fotografie o video intimi di qualcuno senza il suo consenso può integrare diversi reati in concorso tra di loro – commenta l’avvocato Marisa Marraffino, del foro di Milano -. Oltre alla nuova fattispecie introdotta dal Codice rosso, il cosiddetto revenge porn, punito con la reclusione che può arrivare fino a 8 anni in presenza di aggravanti come il mezzo telematico usato o la relazione sentimentale con la vittima, possono sussistere anche la diffamazione aggravata e il trattamento illecito dei dati personali, come in questo caso perché è stato condiviso il numero di cellulare della vittima. Il reato di revenge porn – prosegue l’avvocato – si configura anche in caso di fotomontaggi o deepfake e prevede l’arresto facoltativo in flagranza, oltre all’eventuale applicazione delle misure cautelari, come è successo in questo caso. Si tratta di reati gravi, che rischiano di cambiare le abitudini di vita della vittima che per questo deve sporgere subito querela, anche se ha sei mesi di tempo per farlo. La stessa pena si applica a chi condivide i video o le fotografie intime, anche se non li ha materialmente realizzati”.

Molto importante, in casi come questi, è la tempestività delle indagini. “Possono portare all’individuazione del responsabile in tempi rapidi – spiega l’avvocato – arginando la viralità dei contenuti. Il sequestro preventivo dei video, già in fase di indagine, consente spesso alla vittima di veder rimossi velocemente il video o la fotografia nell’attesa del processo. Le prime condanne per questo nuovo reato rappresentano un segnale positivo per le vittime che oggi sanno di avere a disposizione nuovi strumenti rispetto al passato. Anche le indagini per questo tipo di reato sono più rapide e seguono perciò una corsia preferenziale”.

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