Paolo Lazzari

Essere allenatori di una squadra di calcio talvolta è una missione. Un traguardo da raggiungere per appagare la propria sete interiore. Un modo per esplicare al mondo la propria vocazione. Specie se sei un toscano sanguigno. Specie se ti chiami Silvio Baldini.

Gli aggettivi per lui si sprecano: irriverente, anarchico, feroce e brusco nei modi, eppure un padre amorevole per i giocatori che ha avuto in dote. “L’allenatore senza stipendio” sembra il titolo di un cinepanettone, ma ha a che fare con la realtà. Un modo di vivere che si protrae da tre anni a questa parte, in quella Carrara che ha cucito sottopelle: un ossimoro vivente infilato dentro ad un mondo imperniato intorno a rinnovi milionari, richieste choc da parte dei procuratori di turno, mani che si sfregano a ripetizione pregustando lauti contratti pluriennali.

Nulla di tutto questo per Silvio da Massa, 62 anni, una carriera come una linea parallela rispetto agli aziendalisti, agli “yes man” di turno che popolano il panorama calcistico nazionale. Percorrere la sua vicenda in lungo e in largo assomiglia tanto ad uno di quei viaggi sulle montagne russe con un doppio avvitamento mortale: scendi e non capisci mai se ti è piaciuto un sacco o se te la sei fatta addosso per la paura. L’impressione, comunque, è quella di aver camminato sempre un po’ troppo sul bordo del rischio.

Baldini è un genio della tattica ed un motivatore: ovunque va, i suoi ragazzi lo idolatrano. Però ha anche dei vizi: la toscanità che ribolle nelle vene sa essere una compagna talora ilare, talvolta meschina. Il calcione nel didietro del povero Di Carlo – l’unica cosa che si ricorda davvero di uno sbiadito Parma contro Brescia di troppi anni fa – se ne sta ancora lì a testimoniare i nervi più scoperti di un uomo non asservito che, di quando in quando, trascende. Tutta quella rabbia verso il sistema, quel suo dichiararsi sfacciatamente “anarchico”, del resto, ha un contrappeso.

Perché Silvio sorride, ma al contempo soffre. Perché il circuito del grande calcio prima lo mastica compiaciuto e poi lo sputa via senza deglutirlo. Arrivi in piazze importanti dopo anni di dura gavetta, ma poi tutto si sfascia. Le tue squadre propongono un calcio offensivo e disinvolto: Brescia, Parma, Catania e via dicendo. Alla gente piace, a te pure, ai giocatori anche. Certo non fate miracoli, ma un piccolo pezzo di magia vi riesce sempre ed è tutto racchiuso nei sorrisi che strappate sugli spalti.

Poi si spegne la luce. Per sei lunghi anni tutti si scordano di te. Ti infilano in un cassetto. Solo che sei troppo grosso per starci dentro: scalci e spintoni, com’è tua consuetudine. Vieni fuori e ti riproponi nel modo più assurdo per gli altri: “Allenerò gratis a Carrara“. Un miraggio in mezzo ad un’oasi di rassegnazione, tra agenti tritaemozioni e imberbi che sognano la Ferrari nel vialetto di casa. “Quando smetto mi dedicherò alla natura, non voglio finire in galera”, dice in una conferenza. Perché Silvio Baldini è questo, prendere o lasciare: autentico fino al limite, fuori spartito, tutt’altro che politicamente corretto. Ma è anche così, in fondo, che si diventa un mito.

 

Foto: Carrarese calcio (Facebook)

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