Chiedere a una donna che sta per essere assunta di dichiarare se è incinta, o meno, e se sì quando partorirà, non è proprio un bell’esempio di progressismo. Questo episodio poco simpatico è successo a Prato (giunta Pd), dove ai vincitori di un concorso per un posto in Comune è stato chiesto di compilare un questionario. Alla fine c’era anche la fatidica domanda, ovviamente rivolta alle donne: sei incinta? In caso affermativo veniva richiesto anche di indicare la data presunta del parto. Come riporta Repubblica i sindacati non l’hanno presa bene: “È un atto discriminatorio”, hanno tuonato, “quella dicitura va ritirata”, come ha ufficialmente richiesto all’amministrazione comunale il segretario provinciale della Cgil – Funzione pubblica, Bruno Pacini.

Il Comune di Prato, cascato dalle nuvole, ha risposto gettando acqua sul fuoco: “Non c’è mai stato alcun intento discriminatorio”, ha chiarito  Benedetta Squittieri, assessore al Personale. Poi però, per porre fine alle polemiche, ha fatto sapere che quella frase può essere tranquillamente tolta, d’accordo con il sindaco Matteo Biffoni (Pd).

Durissima la protesta di Tommaso Grassi, ex consigliere comunale ora candidato al consiglio regionale con Toscana a Sinistra. “Un modulo offensivo e discriminatorio per tutte le candidate. Cerco di immaginare cosa possa significare per una ragazza vedersi chiedere un dato ultrasensibile come quello del parto al momento di iniziare un lavoro”.

Ma per quale motivo voler sapere la prevista data di nascita dei bambini? Per assumere in un secondo momento le donne in stato interessante? Il Comune assicura che non era questo l’intento e che anzi tutte le 21 persone assunte entreranno in organico simultaneamente. Dunque, perché quella domanda? Ecco la risposta ufficiale fornita dall’amministrazione comunale: “La dichiarazione relativa allo stato di gravidanza contenuta nel modulo di accettazione dell’assunzione si rende necessaria al fine di garantire la tutela della lavoratrice che, nel caso, non potrebbe essere adibita ad alcune mansioni/attività che espongono la persona a rischi per la salute, in particolar modo in questo periodo di emergenza sanitaria dovuta al Covid. Tale dichiarazione deve essere resa pertanto nell’interesse della lavoratrice non del datore di lavoro che, se ignaro della condizione della lavoratrice, potrebbe individuare una sede di lavoro potenzialmente a rischio per la salute della medesima”. C’è chi obietta, però, che non era il modo giusto né il momento giusto per sollevare una domanda simile e che, eventualmente, sarebbe dovuto intervenire il medico dell’azienda.

 

Foto: Pixabay

 

5 Comments

  1. Penso che togliere solo la cicitura. senza cambiare la mentalità è solo una presa in giro come al solito in queste situazioni. Allegriaaaaa !!!!!!!!!

  2. Si comincia col chiedere la confessione di antifascismo per avere dei contributi, e si prosegue imperterriti contro le libertà individuali, con la sola novità delle farneticazioni di fantomatici diritti arcobaleno di unicorni ed elefanti rosa per compensazione, passettino dopo passettino. La Gestapo non è vecchia a questi sistemi di cottura graduale della rana, vi ricordate?

  3. Però mi sembra giusto dichiarare che si è incinte. Il Comune o ditta che sia, se vuole assumere una persona, lo fa perchè ne ha la necessità, non penso che lo faccia per far felice la neomamma per starsene ugualmente a casa ma pagata. A me questa cosa di approfittarsene del welfare non piace affatto. voglio vedere chiunque assumere una badante e pagarla per stare a casa 6- 9 mesi a vostre spese.Poi che facciamo ne assumiamo un’altra, e se è incinta anche questa? ….ci spariamo.

  4. Giandomenico Carletto Reply

    Trovo giusto la domanda ma va fatta in un’altro contesto, ad esempio in un colloquio testa a testa oppure ad una visita medica all’assunzione. Concordo da quanto detto da Giuseppe che si e’ spiegato molto bene. Comunque se una donna aspetta un bambino, la cosa e’ molto bella ma difficile da gestire, sia da parte della mamma che dal datore del lavoro.

  5. Concordo con Giuseppe. E se molte si lamentano per la presunta discriminazione non se la prendano con i datori di lavoro, ma con le troppe donne che comunicano di essere incinte, esattamente il giorno dopo il termine del periodo di prova. Caliamo poi un velo pietoso sul fatto che da tempo non esiste più una gravidanza “normale” per le donne con lavoro dipendente: tutte a rischio e quindi subito a casa.
    Se l’assenza di una futura mamma (e con mansioni banali) può contar poco in un’azienda da mille dipendenti, in una piccola o piccolissima realtà può significare la prosecuzione o meno dell’attività.

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