Un gruppo di amici esce la sera per una tranquilla serata al pub. Siamo a Campi Bisenzio, popoloso comune (47mila abitanti) alle porte di Firenze. A un certo punto un ragazzo macedone di 26 anni si offre di accompagnare a casa una diciannovenne: in auto raggiungono le colline di Carmignano, dove vive lui. La ragazza, capite le intenzioni del giovane, non vuol saperne di concludere la serata a casa sua e gli dice di no. Lui al rifiuto si scatena, picchiandola selvaggiamente. Si accanisce su di lei colpendola ripetutamente e lasciandola a terra, sull’asfalto, con il volto insanguinato. Nonostante tutto lei riesce a chiamare i suoi amici che accorrono in suo soccorso e la portano all’ospedale di Careggi (Firenze).

Al pronto soccorso la ragazza si sfoga e racconta quanto le è capitato. All’inizio, però, la versione è un po’ confusa, anche perché, evidentemente, la poveretta è ancora sotto choc per quanto le è capitato (per le botte subite ha perso un dente, ha due fratture a un braccio ed una alla mandibola). Passano alcuni giorni e lei focalizza meglio la memoria, fornendo tutti i dettagli del caso alle forze dell’ordine. Ce n’è uno, in particolare, che sarà molto utile per individuare il giovane. Si tratta di un anello che lui portava al dito, quella sera, e il cui segno è rimasto impresso sul viso della ragazza aggredita. I fatti risalgono allo scorso 2 ottobre. Dopo nove mesi i carabinieri si presentano nell’abitazione del macedone e lo arrestano, con l’accusa di lesioni aggravate, dopo l’ordinanza firmata dal gip del tribunale di Prato.

Come mai c’è voluto tutto questo tempo per individuare a arrestare il colpevole di questa brutale aggressione. Probabilmente perché, a causa del lockdown, diversi uffici del tribunale, dove giaceva la denuncia, sono rimasti bloccati, rallentando l’iter della giustizia.

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