Giuseppe Capuano

Rider nel senso di correre, e sono ormai alcuni anni che la bicicletta ha ripreso a correre. Sospinta dal vento delle risposte al cambiamento climatico e dalla ricerca di alternative all’ingolfamento del traffico nelle nostre città. Il veicolo che, a partire dagli anni ‘60 sembrava relegato al solo circuito amatoriale e sportivo, si è lentamente ma inesorabilmente ripreso il suo posto nel mondo dei trasporto urbano, del turismo, del tempo libero, coniugando mobilità e benessere. E ora è il momento di un’altra rinascita, forse definitiva, come corollario ai mutamenti che si stanno producendo a causa dell’epidemia di Covid19 e che in questo primo inizio di Fase 2 sono sotto gli occhi di tutti.

I ridotti volumi di traffico di questi giorni hanno infatti creato condizioni ideali per muoversi in bike in città e, complice anche la primavera, si sono riviste a Pisa intere famiglie pedalare all’aria aperta sulle strade finalmente sgombre. Qualcuno si è spinto fino a Marina di Pisa e sul lungomare, approfittando di un viale D’Annunzio bello come al solito e insolitamente tranquillo. Anche il parco di San Rossore ha riaperto a bici e pedoni, ma non alle auto.

Oggi abbiamo la necessità di sperimentare una diversa organizzazione dello spazio urbano realizzando quella che è stata definita come “Rete di Mobilità d’Emergenza (RME)” che permetta ai cittadini di spostarsi in bici in sicurezza, in alternativa alle auto e in sincronia con gli altri mezzi di trasporto pubblico (questi ultimi hanno già subito drastici cambiamenti in ossequio al rispetto della distanza sociale tra gli utenti) . Già città come Parigi, Berlino, Budapest, Dublino, Montpellier, Milano e tanti altri comuni d’Italia si sono dotati, o si stanno dotando di un piano RME. Si tratta, in buona sostanza, di procedere alla trasformazione delle strade in modo da recuperare lo spazio necessario per i mezzi e i modi di trasporto smart, ovvero di tutto ciò che riduca il livello di congestione della rete ordinaria, quindi piccoli e sostenibili. Sono interventi che fanno della velocità di attuazione e del basso costo i loro punti di forza, gli unici che, nel breve periodo, possono dare risposta alle mutate esigenze. E cosa c’è di più smart della bicicletta? Solo le scarpe, mi verrebbe da dire. E, a ben vedere, percorsi ciclabili e pedonali spesso vanno a braccetto, questa “rivoluzione pacifica” permetterà agli esercizi commerciali come bar e ristoranti di allargarsi all’esterno e ai turisti di passeggiare mantenendo le debite distanze.

Questo nuovo “ritorno” alla bici non è tangibile solo nei grandi centri urbani ma anche nei piccoli paesi, qual è quello in cui abito io, nel Comune di San Giuliano Terme (Pisa). Ne parlo con Ciro Contussi, di anni 53, di professione attuale “meccanico di biciclette”, con officina a Pontasserchio. La sua storia è simbolica del mutamento avvenuto in pochi anni anche in questi centri così vicini a Pisa ma contemporaneamente così distanti dal prevedere l’uso pluriquotidiano dell’automobile per qualsiasi spostamento. Ciro ha rilevato da circa due anni il vecchio negozio di riparazione bici dal precedente proprietario, tale Sergio che, per sopravvenuti limiti di età ha dovuto lasciare. La piccola officina di 30 mq era lì da 30 anni e, lentamente ma inesorabilmente, si era svuotata di presenze “significative”. Sì, qualche aggiustatina ai freni, un cambio di camera d’aria, soprattutto per gli anziani e i bambini. La ventata di riutilizzo della bicicletta che in città già si era presentata da qualche anno in “campagna” stentava ad alimentare nuovo interesse. Trovare chi volesse rilevare l’attività era difficile, non sembrava un’attività che facesse pensare al futuro. E allora è intervenuto Ciro, che non era un “improvviso”, come si dice dalle nostre parti. Il suo primo lavoro era stato infatti proprio il riparatore di biciclette, quasi 40 anni prima, in quel di Pisa, ma poi si era dedicato a lavori edili, fino a Firenze. Insomma, con le mani aveva già dimostrato di saperci fare. E allora, la svolta, il primo lavoro non si scorda mai, verrebbe da dire. Ciro rileva l’attività, ricomincia una nuova vita, ritorna nel suo paese. La piccola officina, simbolicamente, si trova a metà strada fra la casa natia e quella dell’adolescenza. Deve reimparare tutto da capo, perché la bicicletta nel frattempo è molto cambiata dal punto di vista dei materiali e della meccanica. Ma Ciro ha passione, mi ricorda un po’ la canzone di De Gregori: “Io, col mio amico ‘Culo di gomma’, famoso meccanico, Sul ciglio di una strada a contemplare l’America, Diminuzione dei cavalli, aumento dell’ottimismo”, con diminuzione
dell’automobile al posto dei cavalli.

Il negozio si rivitalizza subito, un po’ per merito suo e un po’ per via del vento che inizia a spirare anche lontano dai centri urbani. E insieme ai bambini, che lui mette sempre al primo posto nella sua organizzazione giornaliera di riparatore, iniziano a venire anche tanti genitori, e poi gli amici dei genitori, e così via. Si riparano tutti i modelli di bicicletta, dalle olandesi alle city/mountain bike a quelle da corsa. E siccome Ciro viene da lontano e ha imparato anche con le biciclette a bacchetta, arrivano anche tanti, spesso da tutta la Provincia, che gli consegnano vecchie biciclette da riparare e restaurare, vecchi ricordi, un mondo che riaffiora di catene arrugginite, freni induriti e selle di vero cuoio. È il lavoro che gli dà più soddisfazione, un lavoro da vero artigiano. A volte si fa vivo anche Sergio, per dargli una mano dice, ma io credo più per assicurarsi che tutto sia ricominciato alla grande e così se ne va via tranquillo.

Anche Ciro è stato chiuso due mesi per il Covid, non sapeva, nell’ambiguità dei decreti, se poteva riaprire, come le officine d’auto, e nell’indecisione è rimasto chiuso. Ma dall’inizio della Fase 2, a primavera inoltrata, ha riaperto, deve smaltire il lavoro vecchio rimasto nella polvere dell’officina e quello nuovo, quello dell’entusiasmo per il ritorno alle pedalate. Lo trovo letteralmente circondato da biciclette in attesa di riparazione, accatastate una sopra l’altra, gli chiedo se ora non sia il caso di cercare un posto più grande, magari un aiutante giovane, insomma di fare ancora un salto. Mi guarda con quel suo sorriso da “benestante”, nel senso che “sto bene così”, dovrebbe pensare, dice, più alla formazione che a impastarsi i guanti di grasso, e poi i lavoratori costano, dovrei aprire anche un settore vendita. Insomma, mi fa capire che per adesso gli piace la sua dimensione smart, in linea con i nuovi principi del RME.

 

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