La Corte europea dei diritti dell’uomo ha detto che tredici anni per ricorso al Tar sono davvero troppi. Così lo Stato italiano è stato condannato a pagare 11.200 euro per “l’irragionevole durata del processo amministrativo”. Come riporta Notizie di Prato la storia inizia nel 1998, quando un geometra presenta il ricorso al Tar contro il diniego ad una concessione edilizia in sanatoria. Nel 2011 il giudizio è ancora pendente e gli avvocati si rivolgono alla Corte d’Appello di Genova chiedendo il risarcimento del danno per l’eccessiva durata del processo, previsto dalla ex legge Pinto.

La Corte d’appello dà loro ragione ma il ministero dell’Economia presenta ricorso in Cassazione, sulla base di questo elemento: il geometra e i suoi legali non hanno esercitato “l’istanza di prelievo”, ossia non hanno sollecitato il Tar affinché anticipasse l’udienza in modo da arrivare ad una rapida conclusione della causa. La Cassazione nel 2013 dà ragione al ministero e annulla il decreto della Corte di appello. Vicenda finita? No. Il geometra non demorde e decide di appellarsi all’Europa.

Nella sentenza di condanna la Corte europea dei diritti dell’uomo ha scritto che lo Stato italiano ha violato l’articolo 6 della Convenzione in quanto il processo ha avuto una durata irragionevole”. E l’istanza di prelievo di cui parlava l’avvocatura dello Stato? “Non costituisce un rimedio effettivo idoneo a garantire, o quantomeno a favorire, l’accelerazione dei processi. Tradotto in parole semplici il fatto di non aver sollecitato il processo non fa decadere il diritto all’indennizzo.

Dopo ventidue anni, penserà qualcuno, comunque è stata scritta la parola fine. Non è così. Tecnicamente la questione è stata superata, ma la sentenza della Corte europea ha solo tirato le orecchie al nostro Paese, ricordandoci che così non si può fare.

 

Foto: Pixabay

1 Comment

  1. Questi sono i veri problemi della giustizia, altro che prescrizione. Fate i processi in tempi accettabili altrimenti il “termine Giustizia” non ha alcun senso.

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