Quarantasette pagine contengono le motivazioni in base alle quali Antonio Logli lo scorso 10 luglio è stato condannato, in Cassazione, per l’omicidio della moglie, Roberta Ragusa, e la distruzione del cadavere. Per i giudici l’uomo avrebbe cercato di sviare le indagini, indicando false piste. Il delitto non fu premeditato: dopo aver appreso il nome dell’amante del coniuge, la donna che aveva accolto in casa come baby sitter, la Ragusa sarebbe fuggita nei campi vicini alla casa, inseguita dal marito. Logli l’avrebbe uccisa, in un luogo imprecisato, facendone poi sparire i resti.

L’ipotesi dell’allontanamento volontario della donna, sempre sostenuta dall’uomo, per la Cassazione non sta in piedi: sia per la personalità e i comportamenti antecedenti la sparizione, sia per la situazione specifica e le modalità dell’allontanamento. In altre parole la donna “non aveva mai fatto presagire la possibilità di una fuga, al contrario, era persona dalle regolari abitudini e dagli interessi limitati al lavoro e alla famiglia, legata ai figli in un rapporto definito morboso da amici e suoceri, figli che mai avrebbe abbandonato di sua spontanea volontà senza poi più contattarli o incontrarli”. La Ragusa, inoltre, “non aveva intrattenuto in passato o in quella fase relazioni extraconiugali, ipotesi non emersa dai tabulati del traffico telefonico, negata da amici e parenti e anche dall’imputato”. E ad avvalorare la tesi dell’improbabilità della fuga spontanea c’è il fatto che la donna non portò via soldi, documenti e carte di credito.

Dopo aver ripercorso le sentenze di primo e secondo grado, i giudici della Suprema Corte hanno definito “mendaci e volutamente orientate a depistare le indagini” le informazioni che Logli rese agli inquirenti nei primissimi interrogatori. Dopo aver dichiarato di essersi accorto dell’assenza della moglie, da casa, verso le 6.45 del mattino, Logli segnalò la scomparsa alle 13.34. E quando lo fece, denunciando la scomparsa, parlò di rapporti sereni, negò che vi fossero relazioni extraconiugali e, soprattutto, accennò ad un incidente domestico a seguito del quale la donna avrebbe perso la memoria, e smarrito dei soldi. Questo ultimo particolare indirizzò inizialmente le indagini sulla pista di un allontanamento volontario, legato a un possibile stato confusionale. Eppure nessun altro, figli compresi, evidenziò lo stato alterato della donna la sera prima della sparizione.

Logli mentì, inoltre, sull’orario in cui sarebbe andato a letto quella notte. In realtà “era uscito di casa dopo la mezzanotte”. E poco prima, in soffitta, non avrebbe fatto delle riparazioni, come da lui sostenuto, bensì delle telefonate all’amante, come emerso dai tabulati, nei seguenti orari: dalle 23.08 alle 23.52, dalle 23.56 alle 00.16 e dalle 00.17 per ventotto secondi.

La Cassazione ha ritenuto attendibile la testimonianza di Loris Gozi, che raccontò di aver visto Logli per strada, in via Gigli, la notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012. Altri dettagli ritenuti interessanti: Logli si recò nella sede della Geste, l’azienda municipalizzata per cui lavorava, dalle 7.31 alle 7.50, quando ancora era chiusa, “senza che nessuno abbia mai saputo – si legge nelle motivazioni della Cassazione – cosa avesse fatto in quel luogo dopo la sparizione della moglie”. E qualche dubbio viene pensando al giubbotto indossato da Logli la sera prima della sparizione della moglie, “sottratto agli accertamenti e condotto sulla sua auto nel giro di perlustrazione e mai più rinvenuto”.

Ma c’è soprattutto la simulazione dell’avvistamento in auto, in via Gigli, ad inguaiare Logli. Di che si tratta? Ne parlò il procuratore Ugo Adinolfi nel 2013, definendolo un “passo falso” da parte dell’allora indagato Logli: “L’ha già commesso (il passo falso, ndr) e questo secondo noi è un oggettivo elemento a suo carico. Mi riferisco alla prova di avvistamento che nelle scorse settimane Logli ha effettuato di notte esattamente nel punto dove era stato visto dall’unico testimone di cui siamo a conoscenza e che ci ha riferito di averlo visto fuori da casa ben oltre la mezzanotte di quella sera mentre litigava con una donna. Logli ha fatto questa prova, insieme a un amico, esattamente nel posto dove il testimone lo aveva situato nel racconto fatto ai carabinieri e questo per noi è un elemento molto significativo”.

Infine il movente. Cosa ha spinto Logli a uccidere la moglie? “La coppia – si legge nelle motivazioni – aveva interessi patrimoniali ed economici strettamente connessi”. Ma Logli temeva di subire un danno economico dalla loro probabile (vista la scoperta della relazione extraconiugale) separazione.

 

1 Comment

  1. renato brandolese Reply

    In certe sentenze appare sempre il dubbio che sia stato condannato un innocente ma anche che il colpevole l’ abbia fatta franca sfruttando le larghe maglie cavillose attraverso cui sgusciare.

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