Per la prima volta sono stati “annusati” dei reperti egiziani di circa 3500 anni fa. Lo studio, volto a scoprire i profumi antichi, è stato effettuato su una serie di ampolle che facevano parte di un corredo funerario (dell’architetto Kha e della moglie Merit) rinvenuto integro nel 1906 a Deir el-Medina e custodito nel Museo Egizio di Torino. Riuscire a ricostruire gli odori di tremila anni fa può sembrare strano e, forse, qualcuno sorriderà pensando a una boutade. Ma stiamo parlando di una ricerca scientifica di altissimo livello, un progetto europeo a cui ha lavorato un team di chimici dell’Università di Pisa, in collaborazione con gli archeologi e i curatori del Museo. Sono stati analizzati, senza effettuare alcun prelievo invasivo, i contenuti di più di venti vasi. Gli studiosi si sono concentrati sui composti volatili rilasciati nell’aria in concentrazioni estremamente basse (le cosiddette ultratracce) dai residui organici presenti nei contenitori.

Di quali sostanze (e quindi di quali odori) stiamo parlando? Partiamo ad esempio dal cibo contenuto in un piatto, identificato come “verdura finemente triturata e impastata con un condimento”, come venne descritta da Ernesto Schiaparelli, che scoprì la tomba intatta di Kha e Merit. Sino ad ora nessuna analisi ha confermato o smentito tale ipotesi, ora potrebbe arrivare una risposta attraverso la spettrometria. Attraverso uno spettrometro di massa Sift-Ms (Selected Ion Flow Tube-Mass Spectrometry), uno speciale macchinario trasportabile di solito utilizzato in ambito medico per quantificare i metaboliti del respiro.

Francesca Modugno, dell’Università di Pisa, spiega come sono state condotte le ricerche: “Nella prima fase abbiamo chiuso ampolle, vasi e anfore in sacchetti a tenuta stagna in modo da concentrare il più possibile le molecole nell’aria. I dati saranno registrati nell’arco di due giorni, ma risultati delle analisi saranno disponibili tra alcune settimane, considerata la difficoltà della loro interpretazione. Quello che ci aspettiamo di rilevare sono frazioni volatili di oli, resine o cere naturali”.

Christian Greco, direttore del Museo Egizio, è entusiasta: “Siamo orgogliosi di collaborare con i partner di questo progetto e di sperimentare nelle nostre sale l’utilizzo di una tecnica così sofisticata. La ricerca è il cuore delle nostre attività e sentiamo fortemente il dovere di sostenerla, pur garantendo l’integrità della straordinaria collezione che abbiamo l’onore di custodire”.

 

Foto: Federico Taverni, Museo Egizio (da Unipi.it)

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