Sono dati molto interessanti quelli emersi dallo studio della Cna di Pisa. Il Tax free day (il giorno che segna la libertà dalle tasse) nella nostra città è il 12 agosto. Una piccola impresa, quindi, è costretta a lavorare fino al 12 agosto per pagare il fisco, solo dal 13 agosto può tenere per sé ciò che guadagna. Sulla base di questi numeri la pressione fiscale complessiva (Totale tax rate) su una piccola impresa è pari al 61,5%. Servono dunque 225 giorni, in un anno, per pagare imposte, tributi e tasse. Ne rimangono 140 per i consumi familiari.

Lo studio, intitolato “Comune che vai fisco che trovi 2018”, si concentra su tutti i capoluoghi italiani ed alcuni comuni di maggiori dimensioni. Pisa è all’80° posto della graduatoria su 137 comuni presi in considerazione. L’’Osservatorio Cna basa la propria analisi sull’impresa tipo italiana, con un laboratorio e un negozio, ricavi per 431mila euro, un impiegato e quattro operai di personale, 50mila euro di reddito. Il giorno in cui l’imprenditore si libera del peso fiscale può festeggiare, sapendo che dal giorno seguente potrà cominciare a lavorare per sé.

“A parte il leggero peggioramento rispetto ai dati rilevati lo scorso anno –  commenta Il presidente Cna di Pisa, Matteo Giusti – che ripete un analogo leggero aumento rispetto al 2016, che comunque cambia poco, risulta chiaro che l’inversione di tendenza che pareva essere stata imboccata nel 2015 non si è affatto consolidata. La pressione fiscale è costante e soprattutto troppo elevata. Ed è su questo aspetto che le imprese chiedono uno sforzo a chi esercita funzioni di governo nazionale e locale. La pressione fiscale in Italia è troppo elevata – osserva ancora Giusti –  qualunque dato si prenda il problema vero però risiede piuttosto nella iniqua distribuzione del carico, che si distingue in modo radicale secondo la natura del reddito e svantaggia le imprese, in particolare le piccole imprese personali. Ma la tassazione dei redditi prodotti dalle persone fisiche non può essere diversa a seconda della differente modalità con cui si genera reddito”.

“Anche se ci sono dei correttivi che producono un lieve rialzo a livello di tributi comunali, – fa notare il direttore generale della Cna di Pisa, Rolando Pampaloni – ci sono oggettivi margini di miglioramento facilmente conseguibili. Un beneficio per le imprese si potrebbe ottenere se davvero venissero riconosciuti almeno i vantaggi che potrebbero essere ammissibili, norme alla mano. Il primo è quello di non dover considerare come superfici che fanno da base di calcolo per l’imponibile della Tari, quelle che sono già soggette al regime di produzioni di rifiuti speciali, i quali peraltro vengono pagati a parte come costi di smaltimento. Ma spesso non c’è chiarezza su questo tema perché non sono ben specificati nei regolamenti quali siano i criteri con cui si individuano queste superfici. Il secondo è permettere almeno la piena deducibilità dell’Imu pagata dalle imprese sugli immobili strumentali. Ecco quali potrebbero essere i concreti temi di confronto e di sicuro apprezzamento da parte delle imprese”.

A livello nazionale tra le città analizzate nello studio emergono grandi differenze tra Reggio Calabria e Gorizia, “dove l’imprenditore tipo sconta e beneficia -rispettivamente- del peso fiscale più alto e più basso d’Italia, ci sono 20 punti percentuali di differenza: 73,4% contro 53,8%”.

Ma la Cna cosa propone? “Mettendo insieme l’aumento della franchigia Irap dagli attuali 13mila a 30mila euro, l’adozione dell’Iri e la totale deducibilità dell’Imu sui beni strumentali – sottolinea Claudio Carpentieri (responsabile del Dipartimento politiche Ffscali e societarie Cna) – il Total Tax Rate calerebbe al 53,5%. Non una soluzione definitiva, ma una salutare boccata d’ossigeno per le pmi”.

 

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