Presentato il primo dei tre studi sulla mafia che la Regione Toscana ha commissionato alla Scuola Normale d Pisa. La ricerca è stata curata da Donatella Della Porta, con la collaborazione di Andrea Pirro, Salvatore Sberna e Alberto Vannucci. Cosa emerge? Partiamo in primo luogo dai traffici illeciti e dai capitali ripuliti. I gruppi criminali hanno due obiettivi: fare affari ma anche reinvestire, nel nostro territorio, il frutto di attività consumate altrove. Da un lato quindi ci sono i mercati illeciti, fiorenti e vasti anche in Toscana da non attirare gli appetiti delle mafie, dall’altro i capitali illeciti che vanno a inquinare l’economia della Toscana.

Il porto di Livorno è la porta d’ingresso per i traffici in larga scala di droghe e stupefacenti. Quello toscano, tra l’altro, è tra i mercati più fiorenti tra le regioni italiane, in mano non ad una ma più organizzazioni. La Toscana e il porto di Livorno, in particolare, sarebbero uno snodo centrale soprattutto nel traffico internazionale di stupefacenti in ingresso in Europa, in particolare quello di cocaina, diretto da organizzazioni in gran parte riconducibili alla ‘ndrangheta calabrese.

Da registrare inoltre la connessione, forte, tra gioco d’azzardo e usura, riconducibile al clan dei Casalesì e alla malavita casertana, mentre pochi (a Prato nella comunità cinese, in Versilia, Lucchesia e Valdarno) si dimostrano i casi di pizzo e estorsione. Un altro dei settori chiave della criminalità è lo sfruttamento della prostituzione, legato a fenomeni di tratta e riduzione della schiavitù, con un ruolo prevalente di gruppi stranieri rispetto a quelli italiani.

Si segnala inoltre il caporalato e lavoro irregolare, con la Maremma e il Senese tra le zone più esposte di altri territori. Ultimo, ma non certo meno grave, è il traffico di rifiuti. La Toscana, secondo le statistiche raccolte e rielaborate ogni anno da Legambiente, si posiziona infatti tra le prime regioni in Italia per fenomeni di criminalità ambientale, anche se va detto che, come accade per molti indici che partono dalla misura di denunce e azioni penali, le regioni più virtuose sul fronte dei controlli sono anche quelle che rischiano di più il possibile paradosso di presentare un numero più elevato di violazioni.

Sono pochi gli omicidi di matrice mafiosa, in particolare concentrati nei primi anni Novanta. Tra gli ultimi ce n’è uno a Tirrenia, nel 2015, legato a traffici di stupefacenti. C’è poi la criminalità che non solo approfitta dei mercati illeciti, ma viene anche a sciacquare e ripulire in Toscana i capitali frutto di attività consumate altrove. La ricerca offre al riguardo una prima ricognizione. Gli investimenti riguardano soprattutto turismo, commercio e settore immobiliare, ancora il principale canale di investimento e riciclaggio della mafie storiche. C’è poi un’imprenditorialità mafiosa e criminale che riguarda lo smaltimento dei rifiuti, il tessile, le confezioni e l’edilizia, senza escludere a priori possibili forme di complicità e collusione con l’amministrazione pubblica.

Quanto ai beni confiscati la ricerca mostra anche una mappatura dei beni sotto sequestro o confiscati ad associazioni criminali. Il dato, aggiornato ad oggi, ci dice che sono 451, di cui 64 già riutilizzati per uso sociale. Le aziende confiscate sono 46, in gran parte ancora da destinare. Il grosso delle aziende si concentra a Prato e provincia, Lucca, Livorno e Firenze.

La vulnerabilità di certi territori e mercati, come quello degli appalti pubblici, interessa anche le istituzioni. La ricerca passa così in rassegna alla fine anche il fenomeno della corruzione, incrociando i dati dei tribunali con quelli delle notizie apparse sui media. Si parte dalla Toscana, per poi successivamente allargare il raggio a tutta l’Italia. Gli enti locali, emerge chiaramente, sono il livello che resta più vulnerabile. I numeri raccontano una netta linea di tendenza verso la crescita dei reati contro la pubblica amministrazione e in particolare dei reati di corruzione ad Arezzo (dove sono più che triplicati, passati da 36 a 113), a Firenze, Lucca e Prato; sono stabili invece a Livorno, Pisa e Siena.

La ricerca non ha solo lo scopo di scattare una fotografia. La mappatura aiuterà a comprendere quali settori della pubblica amministrazione e quali funzioni e procedure siano più vulnerabili. Irpet e l’Osservatorio regionale sugli appalti, che collaborano, hanno elaborato dei primi indicatori di anomalia a partire da un’analisi di tutti i contratti banditi dalle amministrazioni pubbliche che operano in Toscana. Questi indicatori di rischio saranno messi a disposizione sia delle amministrazioni – per aiutarle nell’elaborazione dei piani anticorruzione previsti dalla normativa nazionale – sia di tutta la società civile, che così potrà vigilare sui comportamenti delle istituzioni pubbliche.

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