Mezzanotte e quaranta, volo BA124, Manama, Bahrain. Nonostante l’orario assurdo il Boeing 777-200 è pienissimo. Mi guardo intorno e riconosco l’antipatico inviato dell’Associated Press, il producer dei rivali di SNTV col quale ho litigato nel pomeriggio, l’inviato famoso della BBC che ci aveva retto il microfono nella ressa attorno al Principe Ali di Giordania. Ci sono quasi tutti, il presuntuoso esperto del Daily Mail, lo sciatto reporter del Guardian, quasi tutti stiamo tornando a casa dopo aver coperto il congresso della FIFA, saltando spesso e volentieri i pasti, correndo da un grande albergo all’altro per carpire dichiarazioni ai potenti del calcio mondiale che, come successo a me con Pierluigi Collina, spesso hanno zero voglia di parlare. Dopo una giornata lunghissima, con temperature oltre i 40° ed aver mangiato solo una mediocre bistecca alle undici e mezza questa trasferta è finalmente conclusa. Siamo arrivati all’aeroporto francamente distrutti, riuscendo Dio solo sa come a riconsegnare l’auto senza neanche un graffio nonostante il traffico infernale.

Mentre mi sistemo la mascherina per provare a dormire mi rendo conto di quanto questa situazione sia tutt’altro che normale. Le immagini che ho ripreso, spesso madido di sudore e con poche ore di sonno alle spalle, sono arrivate a televisioni e siti web in mezzo mondo. Ho intervistato leggende come Cafu, Boban, Valderrama, sono sopravvissuto alla terribile calca quando Maradona e Ronaldinho sono arrivati in uno stracolmo centro commerciale uscendone con il corpo e la telecamera più o meno intatti. Sono un news editor dell’agenzia di video sportivi leader al mondo, anche se solo gli addetti ai lavori sanno chi siamo. Vuol dire che sono finalmente arrivato? I sacrifici del ragazzino che a 18 anni scriveva articoli su articoli per La Nazione di Pontedera senza essere nemmeno pagato alla fine sono serviti a qualcosa. Le mille nottate passate a coprire eventi sul territorio per testate locali e nazionali per pochi spiccioli, le tante promesse regolarmente tradite, i fallimenti spesso non per colpe proprie, le fin troppe lacrime versate quando sembrava che questo “mestieraccio” proprio non fosse fatto per me sono solo ricordi. Alla fine la serietà, la professionalità e la schiena dritta han pagato. Già, ma il volo BA124 non è diretto al Galilei – atterrerà ad Heathrow, Londra.

Luca Bocci e la ex portiere del Canada, Karina LeBlanc, bronzo a Londra 2012

Come tanti, troppi altri professionisti seri ma senza santi in paradiso sono infatti stato costretto a dirottare verso un certo non semplice esilio oltremanica. In passato ho vissuto all’estero e viaggiato parecchio ma partivo sapendo che si trattava solo di un’esperienza e che sarei tornato a casa, cercando di costruirmi un futuro nella mia Toscana – stavolta invece a tornare non ci penso nemmeno lontanamente. Dopo mille porte prese in faccia il messaggio è finalmente arrivato, chiaro e forte: il mio paese non sa di che farsene di uno come me. Mi ci è voluto tempo per accettare questa realtà ed iniziare a guardare avanti, senza recriminazioni e senza rovinarsi il fegato nel vedere come gente molto meno qualificata sia riuscita, chissà come, a sistemarsi senza dover ricostruirsi un’esistenza lontano da amici, famiglia e parenti. Non sono un “cittadino del mondo”, come credevo, ingenuamente, parecchi anni fa – sono e resto figlio della mia terra, nato, cresciuto e vissuto nella piana dell’Arno. Le esperienze vissute all’ombra della Torre Pendente le porto con me, come la nostalgia per il mare di Tirrenia, le serate passate con gli amici a parlare di tutto e di niente, il futuro che ci immaginavamo da ragazzi, pigiati sui treni dei pendolari ed i mille sogni evaporati come neve al sole di una realtà sempre più difficile da accettare.

Quando l’amico Orlando, compagno di tante battaglie contro i mulini a vento su carta stampata, mi ha chiesto di contribuire a questa nuova esperienza editoriale ho esitato non poco. Cosa posso raccontare che non sia già stato detto da tanti altri italiani rifugiati come me in questa landa spesso triste e poco ospitale? Alla fine mi sono reso conto che porsi obiettivi troppo altisonanti non può che indurre all’inazione. Cosa vi potete aspettare da questa rubrica? Di tutto e di più, verrebbe da dire, ma mi tratterrò dal fare promesse difficili da mantenere. Vi racconterò la vita non di tutti gli italiani a Londra ma quello che succede a questo pontederese di trentatanti anni che vive non in centro ma in un quartiere nell’estrema periferia ovest della tentacolare capitale britannica e che, spesso e volentieri, ha a malapena il tempo di respirare.

Una cosa però posso prometterla senza esitare: come ho sempre fatto negli scorsi 27 anni sarò schietto, onesto e vi racconterò la mia verità senza troppi giri di parole. Spesso quello che leggerete sarà diverso da quello che viene pubblicato in Italia da gente che, evidentemente, vive in circoli e condizioni ben diverse dalle mie, magari in appartamenti pagati dal papi o con carte di credito aziendali senza limiti. Londra non è una città, ma un continente racchiuso nei 188 chilometri della M25, con realtà tanto diverse da renderla molto più simile ad un’accozzaglia di villaggi che ad una normale città. Se poi aveste qualche domanda, non esitate a mettervi in contatto. Già iniziare a mettere i puntini sulle i e raccontare le cose come stanno davvero e non come vorrebbero farvi credere sarebbe un bel passo avanti.

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